mercoledì 30 ottobre 2013

Ashton ha ricevuto lettera di ministri Bonino e Mauro (ANSA) - BRUXELLES, 30 OTT - L'alto rappresentante Ue per la Politica estera Catherine Ashton ha ricevuto una lettera da parte del ministro degli Esteri Emma Bonino e del ministro della Difesa Mario Mauro per "esplorare le possibilita' di un intervento nell'ambito della politica di sicurezza e difesa comune dell'Ue". Lo ha confermato il suo portavoce. (ANSA). ZFL/FLO 30-OTT-13 12:45 NNNN 30-10-13 1245

martedì 29 ottobre 2013

9Colonne) Roma, 29 ott - "A conclusione degli incontri che negli scorsi giorni ho avuto a Washington, vorrei prima di tutto ringraziare tutti coloro che si sono adoperati per la riuscita delle iniziative e, in particolare, l'ambasciatore Claudio Bisogniero per il cortese invito al pranzo offerto ai Members Board della Niaf, in presenza del presidente del Senato Pietro Grasso. L'annuale Gala della Niaf, svoltosi sabato sera, e' stato poi l'occasione per conoscere direttamente il clima di solidarieta' che si respira in questa importante organizzazione e la capacita' di condizionamento dell'opinione pubblica che essa e' in grado di esercitare". Sono queste le parole con le quali la deputata del Pd eletta all'estero Francesca La Marca ha dato conto della sua presenza negli Usa, protrattasi per l'intero fine settimana. "La riunione dell'Intercomites degli Stati Uniti - spiega La Marca - e' stata molto utile per recepire problemi e stimoli provenienti dalle nostre comunita' da trasferire nel lavoro parlamentare. Oltre ad ascoltare i numerosi riferimenti tematici fatti dai presidenti dei Comites e dai componenti del Cgie, ho potuto dialogare sulla situazione della lingua e cultura italiane nel mondo, in vista dell'improrogabile riforma della 153, per la quale mi sento direttamente impegnata nell'ambito della commissione Cultura della Camera. Ho sottolineato, inoltre, la richiesta del gruppo Pd che le elezioni si tengano prima delle elezioni europee e, nello stesso tempo, l'esigenza di avere una integrazione dei fondi attualmente disponibili per costituire il maggior numero possibile di seggi elettorali. Un calo della partecipazione, infatti, oltre a costituire un indebolimento di questi preziosi organismi - sottolinea La Marca - sarebbe anche un ulteriore pretesto a favore di chi sostiene che la rappresentanza degli italiani all'estero e' un lusso che non ci possiamo permettere, anziche', com'e' in effetti, l'espressione di un fondamentale diritto di cittadinanza. L'incontro informale promosso domenica dal circolo Pd di Washington ha consentito un giro d'orizzonte sulla politica italiana e sugli interventi da mettere in campo a favore degli italiani all'estero. E' sempre molto interessante verificare in presa diretta come si valuta in altri contesti la situazione del nostro Paese. Lo dovrebbero fare di piu' anche i dirigenti delle forze politiche italiane. L'Italia ha bisogno di vivere nel mondo, ma per farlo - conclude La Marca - e' necessario informare i possibili interlocutori e discutere sempre su una base di parita' e rispetto". (PO / red) 291544 OTT 13 29-10-13 1544
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venerdì 25 ottobre 2013

E' problema europeo, Lampedusa si puo' ripetere (ANSA) - BRUXELLES, 25 OTT - Quanto visto a Lampedusa ''e' una tragedia che puo' essere ripetuta, dobbiamo guardare alla questione in modo piu' sistematico con un approccio a piu' livelli'' perche' ''si tratta di un problema europeo''. Cosi' il premier della Lituania, Dalia Grybauskaite, il cui paese detiene la presidenza di turno dell'Ue, al suo arrivo al secondo giorno di lavori del vertice Ue. L'Italia, ha detto, ''e' pronta a parlare in modo ampio della questione''. (ANSA) ZSL 25-OTT-13 10:38 NNNN 25-10-13 1038
25/10/2013-10.30-(Ansa) Kyenge, diritto d'asilo prima di partire? Ci lavora Bonino
(v. 'Immigrazione: Nicolini, richiesta asilo...', delle 10:23) (ANSA) - ROMA, 25 OTT - "Sul fronte del diritto d'asilo chiesto nel territorio d'origine sta lavorando il ministro Bonino". Lo ha detto il ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge, rispondendo alla richiesta del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini a Radio Anch'io, sottolineando pero' che "si tratta di paesi dove c'e' la guerra ed esiste un'instabilita' politica totale". "Abbiamo chiesto di inserire la gestione dell'asilo a livello europeo all'ordine del giorno", ha aggiunto poi Kyenge, "le politiche d'asilo mancano sul tavolo europeo da anni". (ANSA). Y12-GRZ 25-OTT-13 10:29 NNNN 25-10-13 1030
25/10/2013-00.59-(Ansa) ++ Immigrazione: soccorsi oltre 800 in Canale Sicilia ++
(ANSA) - ROMA, 25 OTT - Sono piu' di 800 - secondo quanto apprende l'ANSA - i migranti soccorsi nelle ultime ore nel canale di Sicilia in almeno 4 distinti interventi.(ANSA). QA 25-OTT-13 00:59 NNNN 25-10-13 0059
25/10/2013-01.10-(Ansa) Immigrazione: soccorsi oltre 800 in Canale Sicilia (2)
(ANSA) - ROMA, 25 OTT - Circa 400 migranti sono stati soccorsi da due navi della Marina militare impegnate nell'operazione Mare Nostrum. Due motovedette della Guardia costiera salpate da Lampedusa hanno preso a bordo 250 migranti che erano su un barcone in difficolta' a 25 miglia dall'isola. Un pattugliatore d'altura della Guardia Costiera ha soccorso 95 eritrei a 103 miglia a sud-est di Lampedusa; un mercantile battente bandiera panamense, dirottato nella zona dalla sala operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto, infine, ha soccorso e preso a bordo 80 migranti che erano su un barcone in difficolta' a 110 miglia a sud dell'isola. Alcuni migranti saranno trasferiti a Lampedusa. Per altri si stanno valutando altre destinazioni.(ANSA). QA 25-OTT-13 01:08 NNNN 25-10-13 0110
25/10/2013-10.15-(Ansa) Immigrazione: oltre 300 migranti a Lampedusa
(V.: "Immigrazione: soccorsi..." delle 01:08) (ANSA) - ROMA, 25 OTT - Sono circa 300 i migranti soccorsi stanotte gia' arrivati o in arrivo a Lampedusa. Sull'isola sono infatti sbarcati attorno alle tre della scorsa notte 201 migranti, tra cui 39 donne e 53 bambini, che si trovavano a bordo di due motovedette della Guardia Costiera dopo esser stati soccorsi a 25miglia a sud di Lampedusa. Arriveranno invece in mattinata gli altri 95 soccorsi a 103 miglia a sud dell'isola da un pattugliatore delle Capitanerie di Porto. Infine, verranno portati a Pozzallo i 90 migranti che si trovano a bordo del mercantile maltese. (ANSA). GUI 25-OTT-13 10:14 NNNN 25-10-13 1015
Sono piu' di 800 - secondo quanto apprende l'ANSA - i migranti soccorsi nelle ultime ore nel canale di Sicilia in almeno 4 distinti interventi.(ANSA). QA 25-OTT-13 00:59 NNNN 25-10-13 0059
25/10/2013-01.10-(Ansa) Immigrazione: soccorsi oltre 800 in Canale Sicilia (2)
(ANSA) - ROMA, 25 OTT - Circa 400 migranti sono stati soccorsi da due navi della Marina militare impegnate nell'operazione Mare Nostrum. Due motovedette della Guardia costiera salpate da Lampedusa hanno preso a bordo 250 migranti che erano su un barcone in difficolta' a 25 miglia dall'isola. Un pattugliatore d'altura della Guardia Costiera ha soccorso 95 eritrei a 103 miglia a sud-est di Lampedusa; un mercantile battente bandiera panamense, dirottato nella zona dalla sala operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto, infine, ha soccorso e preso a bordo 80 migranti che erano su un barcone in difficolta' a 110 miglia a sud dell'isola. Alcuni migranti saranno trasferiti a Lampedusa. Per altri si stanno valutando altre destinazioni.(ANSA). QA 25-OTT-13 01:08 NNNN 25-10-13 0110

martedì 22 ottobre 2013

10/2013-10.24-(Ansa) ++ Immigrazione:Letta,chiediamo 4 impegni all'Europa ++
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - "Chiederemo al Consiglio europeo di giovedi' 4 impegni precisi: il dramma di Lampedusa e' una questione europea; misure immediate per mettere in atto il programma di sorveglianza Eurosur e rafforzare Frontex; un piano d'azione per la gestione dell'emergenza migratoria; dialogo con i Paesi del Mediterraneo". Lo ha detto il premier Letta. (ANSA) NE 22-OTT-13 10:23 NNNN 22-10-13 1024
22/10/2013-10.12-(Ansa) ++ Immigrazione: Letta,Italia responsabile ma problema Ue ++
Noi intervenuti da grande paese ma Sicilia e' avamposto Europa (ANSA) ++ Immigrazione: Letta,Italia responsabile ma problema Ue ++ Noi intervenuti da grande paese ma Sicilia e' avamposto Europa (ANSA) TG 22-OTT-13 10:11 NNNN 22-10-13 1012
22/10/2013-10.26-(Ansa) Immigrazione: Letta, Italia responsabile ma problema Ue (2)
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - L'Italia e' intervenuta ''senza ulteriori indugi'' nel Mediterraneo con il pattugliamento. ''Si e' assunta fino in fondo la sua responsabilita' cosi' come deve fare un grande paese europeo. Ma quello dell'immigrazione rimane un ''problema europeo, perche' la Sicilia ''non e' la periferia dell'Italia ma l'avamposto dell'Unione europea''.(ANSA). TG 22-OTT-13 10:26 NNNN 22-10-13 1026
22/10/2013-10.11-(Ansa) ++ Immigrazione:Letta,vertice per pensare Europa diversa ++
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - Il Consiglio europeo che si apre giovedi' prossimo "sara' l'occasione per iniziare a discutere di un'Europa diversa", dopo che piu' volte "in quest'Aula abbiamo parlato di un'Europa presa dentro le proprie contraddizioni e che ha smarrito la sua anima". Lo ha detto il premier Enrico Letta nella sua informativa alla Camera. (ANSA). NE 22-OTT-13 10:11 NNNN 22-10-13 1011
22/10/2013-10.46-(Ansa) Immigrazione: Letta, vertice per pensare Europa diversa (2)
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - Secondo Letta, "l'Europa ha smarrito la sua anima in balia di discussioni interminabili sulle procedure, serve invece solidarieta' quando uno degli Stati membri in difficolta'. Per la prima volta dopodomani - ha aggiunto - entrera' nel Consiglio il dolore della tragedia di Lampedusa. Dinanzi a quel danno non dobbiamo conformarci alla globalizzazione dell'indifferenza". (ANSA). NE 22-OTT-13 10:45 NNNN 22-10-13 1046
22/10/2013-10.13-(Ansa) ++ Immigrazione: Letta, ora da Ue seguano atti immediati ++
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - Sull'emergenza immigrazione "l'unione europea e' stata distratta per troppi anni ora non lo e' piu'", dice Enrico Letta a Montecitorio. Il premier ringrazia Barroso e Van Rompuy per gli impegni presi e sottolinea: "Mi auguro che seguano atti immediati, l'impegno italiano sara' tutto in questo senso". (ANSA). DEL 22-OTT-13 10:11 NNNN 22-10-13 1013
22/10/2013-10.09-(Ansa) ++ Immigrazione: Letta,l'Europa muore se resta a guardare ++
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - "L'Europa, per la sua stessa storia" e per le sue "piu' profonde e nobili" radici, "non puo' stare a guardare" di fronte a tragedie come quelle di Lampedusa, "se lo fa, muore". Lo ha detto il premier Enrico Letta, nel suo intervento a Montecitorio (ANSA). GMB 22-OTT-13 10:08 NNNN 22-10-13 1009
22/10/2013-10.19-(Ansa) Immigrazione: Letta, quello Italia sara' semestre svolta
Parlamento italiano sara' coinvolto al massimo livello (ANSA) - ROMA, 22 OTT - Il semestre italiano di presidenza europea dovra' essere quello della ''svolta' sul tema dell'immigrazione nell'agenda europea del 2014. Lo ha affermato il premier Enrico Letta parlando alla Camera del prossimo Consiglio europeo di Bruxelles. In questa cornice il presidente del Consiglio chiede il massimo coinvolgimento del Parlamento italiano nella preparazione di questa agenda.(ANSA). TG 22-OTT-13 10:19 NNNN 22-10-13 1019
22/10/2013-10.25-(Ansa) Immigrazione: Letta, illusione che tutto finito con inverno
(ANSA) - ROMA, 22 OTT - "Nessuno si illuda che queste tragedie siano episodi occasionali, destinate a risolversi" con l'arrivo dell'inverno, perche' non e' cosi'. Cosi' il premier Enrico Letta, parlando a Montecitorio in vista del vertice di Bruxelles di fine ottobre, a proposito delle ultime tragedie del mare sull'immigrazione. (ANSA). GMB 22-OTT-13 10:24 NNNN 22-10-13 1025
22/10/2013-11.53-(Agi) Immigrati: Gasparri, giu' le mani dalle nostre leggi
(AGI) - Roma, 22 ott. - "Il ministro dell'Interno e vice premier Alfano e' stato molto chiaro. L'Italia non puo' da sola accogliere tutti gli immigrati che giungono sulle nostre coste. E quelli che pure trovano ospitalita' hanno il dovere di rispettare le nostre leggi, incominciando dall'obbligo di lasciarsi identificare. Va comunque affrontata la questione all'origine e cioe' ristabilendo rapporti con i paesi di provenienza come avevano fatto i governi Berlusconi nel passato. E nell'attesa che l'Europa si svegli, l'Italia ha il dovere di applicare le norme vigenti. La Bossi-Fini non va smantellata, mentre occorre fermezza per impedire che il reato di immigrazione clandestina sia abolito. Le stragi del Mediterraneo le causa la demagogia di chi fa facili annunci e di chi vuole smantellare norme per favorire i mercanti di morte. Attivisti di ogni parte non otterranno la modifica delle nostre giuste leggi". Lo dichiara Maurizio Gasparri (Pdl), vice presidente del Senato. (AGI) Ted 221152 OTT 13 NNNN 22-10-13 1153

giovedì 17 ottobre 2013

Il giorno 17/ott/2013, alle ore 00:15, STANLEY SAFARI <safaristanley@hotmail.com> ha scritto:

FYI
Stanley Safari
+393338241581
Rome

Date: Fri, 11 Oct 2013 18:06:57 +0200
Subject: Evento del 19 Ottobre - UM ONLUS
From: luigi.cirillo61@gmail.com
To:
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Cari amici di UM ONLUS,
vi invitiamo ad un interessante incontro sul tema:
Uno sguardo al futuro del Rwanda:
Crescere” dopo il Trauma
19 anni dopo il Genocidio
L’incontro si svolgerà sabato 19 ottobre dalle ore 10.00 presso la sala riunioni del CIFE
Centro Italiano di Formazione Europea, Salita De’ Crescenzi 26 (zona Pantheon) e
sarà introdotto dal Console Onorario del Rwanda il Dott. Francesco Alicicco con la
partecipazione delle associazioni “Lutto e Crescita” e EMDR Italia.
In allegato il programma dettagliato.
Vi aspettiamo per presentare gli sviluppi dei nostri progetti attivi in Rwanda.

martedì 15 ottobre 2013



institute for global studies

ottobre 2013

La minaccia dell’al shabaab e

gli interessi regionali del kenya

Al Shabaab e rischio terrorismo nella

regione del Corno d’Africa

Il clamore sollevato dall’azione a Nairobi da un commando identificatosi come parte dell’al Shabaab, impone un’analisi approfondita e meno umorale di quella che, soprattutto la stampa, ha veicolato nei giorni successivi all’evento.

L’azione condotta al Westgate mall, per quanto drammaticamente pesante in termini di vittime, non indica alcun incremento nella capacità operativa od organizzativa dell’al Shabaab, ma solo un cambio di strategia e, con ogni probabilità, una ridefinizione delle priorità d’azione dell’organizzazione.

L’attacco a Nairobi, tecnicamente, è stato relativamente semplice e poco dispendioso per forze e mezzi impiegati, potendo contare in primo luogo sulla sorpresa, ma anche e soprattutto sulla scarsa sorveglianza dell’obiettivo prescelto per l’azione. Il commando che ha gestito l’attacco – alla luce dei dati disponibili ad oggi – non dovrebbe aver superato le 10/15 unità (permangono dubbi circa la possibilità che qualcuno degli attentatori si sia riuscito ad allontanare, unendosi al deflusso degli ostaggi), e sembrerebbe aver utilizzato l’inglese come lingua di coordinamento dell’azione. Lasciando in tal modo sospettare come la gran parte dei suoi componenti fosse riconducibile a somali della diaspora, e a non somali.

Ciò che deve destare interesse, all’indomani del tragico evento di Nairobi, è quindi la mutata visione strategica ed operativa dell’al Shabaab, espressione non già di una rinnovata capacità offensiva ma, al contrario, della necessità di intervenire alla radice dei problemi che hanno determinato la profonda crisi di cui è oggi vittima l’organizzazione.

L’obiettivo, dunque, è quello di colpire i paesi coinvolti nel processo di stabilità della Somalia, e grazie ai quali è stata possibile la riconquista delle roccaforti dell’al Shabaab, nell’intento di convincere le opinioni pubbliche locali sull’opportunità di ritirare i contingenti presenti in Somalia in seno all’Amisom.

Un obiettivo estremamente ambizioso che, tuttavia, costituisce il presupposto della capacità di sopravvivenza dell’al Shabaab, cui sono venute meno con la caduta di Mogadiscio e Kisimayo le capacità di sostentamento economico e, conseguentemente di controllo del territorio attraverso la gestione delle famigerate milizie.

Ulteriore difficoltà per le milizie islamiche, è poi quella del loro inconsapevole utilizzo sul piano della propaganda regionale per la sicurezza, alimentata in primo luogo dai suoi nemici, e che ha incrementato esponenzialmente – quanto spesso immotivatamente – l’attenzione della comunità internazionale sulla minaccia del

qaedismo nel Corno d’Africa.

Gli obiettivi che l’al Shabaab oggi si pone – anche se, più correttamente, sarebbe necessario parlare di un nuovo al Shabaab dopo le sanguinose e radicali diatribe del recente passato nella definizione della linea di comando dell’organizzazione – appaiono decisamente troppo ambiziose per le effettive capacità sino ad oggi dimostrate. Obiettivi difficili da conseguire per diverse ragioni, e in primo luogo perché il posizionamento dell’al Shabaab è ormai internazionale, avendo attirato su di sé l’attenzione di una pluralità di grandi attori globali, decisi ormai a tutto pur di risolvere il problema dell’instabilità della Somalia. Ma difficili da conseguire anche perché è ormai conclamato l’interesse di diversi attori regionali nel poter partecipare alla ricostruzione della Somalia, e soprattutto alla ridefinizione delle sue prerogative economiche.

L’Etiopia e il Kenya

in primis, ma anche il Burundi e l’Uganda, hanno quindi un manifesto interesse ad enfatizzare la dimensione della minaccia rappresentata dall’al Shabaab, al fine di poter concentrare ogni risorsa, e dedicare qualsiasi sforzo alla sua soluzione. E contestualmente mantenere un presidio in Somalia attraverso il quale orientarne i futuri assetti politici, e soprattutto economici.

Medesimi interessi muovono gli Stati Uniti, la Turchia e la Gran Bretagna, che sulla Somalia hanno iniziato ad investire molto, anche se non intendono in alcun modo commettere nuovamente l’errore di un intervento diretto per la pacificazione.

In chiave diametralmente opposta gli interessi dell’Eritrea, che invece vede nel sostegno all’islamismo somalo e alle milizie dell’al Shabaab un modo per alimentare una dimen


Nicola Pedde

sione di instabilità regionale che impegni l’Etiopia e Gibuti lontano dai propri confini.

Ultima, ma non per ultima, la Cina, che considera l’intera regione del Corno d’Africa come potenzialmente strategica per i propri interessi, e dove quindi non intende essere estromessa nella definizione delle priorità di sviluppo e sicurezza.

Un conglomerato di interessi ed una pluralità di attori, quindi, che rende la posizione dell’al Shabaab estremamente debole, trasformando l’organizzazione – di fatto a sua insaputa – in un prezioso strumento funzionale al perseguimento di obiettivi terzi.

Tutte le principali agenzie di intelligence e i centri di analisi politica e militare concordano nel ritenere fortemente diminuita la consistenza dell’al Shabaab e la sua capacità d’azione, sebbene la delocalizzazione ne abbia di fatto mutato le priorità e le potenzialità su nuovi fronti.

Se l’obiettivo diventa quindi quello di colpire gli attori della presenza militare in Somalia con azioni terroristiche sul loro territorio, e non più gestire la complessità dei propri traffici in roccaforti complesse come Mogadiscio e Kisimayo, le esigenze logistiche e militari dell’al Shabaab si riducono fortemente, stante la relativa semplicità dei nuovi compiti.

Le milizie islamiche sono quindi destinate a sopravvivere, sebbene nell’ambito di una dimensione e di una capacità d’azione del tutto differente e ridotta rispetto al passato. Resteranno una minaccia per la sicurezza della ripresa economica e sociale in Somalia, per le truppe straniere impegnate nella stabilizzazione, e probabilmente anche per la sicurezza dei paesi vicini, dove compiranno attentati ed azioni a cadenza periodica per rivendicare il proprio ruolo nell’attesa di una nuova possibilità di consolidamento sul proprio territorio.

Se il processo di consolidamento e stabilità della Somalia proseguirà secondo le attuali direttrici, saranno tuttavia progressivamente erose tutte le possibilità di incremento del proprio ruolo, e sempre minori quelle di sviluppo del movimento su scala regionale.


la politica regionale del kenya,

e gli interessi di nairobi in somalia

Nell’epoca del

New Scramble for Africa post-occidentale, contrassegnata dal proliferare di partenariati e d’iniziative con blocchi alternativi, allo stesso tempo fra loro concorrenziali, al consolidato monopolio europeo, le ripercussioni dell’ampliamento dello spazio conflittuale mediorientale al Grande Corno d’Africa mettono a repentaglio la stabilità di Nazioni considerate affidabili e sicure come il Kenya che, già da tempo consolidato hub commerciale e finanziario regionale e insieme snodo logistico portante e stabile dell’intera Africa Orientale, oramai soffre irrimediabilmente della sua prossimità geopolitica all’epicentro somalo.

Aver favorito nel 2011 la divisione in due Stati del più grande Paese africano – il Sudan – corrispose all’esigenza della comunità internazionale di contenere il livello di conflittualità di tutto il Grande Corno d’Africa. "Linda Nchi" (protezione della nazione, in lingua swahili) è il nome dell’operazione militare delle forze armate keniote (Kenya Defence Forces - KDF), che, inquadrata nella Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM), dal 2011 ha lo scopo di mettere in sicurezza i confini nazionali ed arginare le incursioni degli Shebaab, evitando la "somalizzazione" dei territori settentrionali keniani mediante il rafforzamento della regione semiautonoma dell’Azania, nota anche come Jubaland, in maniera tale che svolga il ruolo di

buffer zone lungo il poroso confine tra Somalia e Kenya.

Nel 2012 sono stati individuati ingenti giacimenti petroliferi ed è stato avviato un importante piano di lavoro congiunto tra Sud Sudan, Kenya ed Etiopia, che darà vita al più importante corridoio logistico della regione, che prevede la costruzione di una ferrovia, di un’autostrada e di un oleodotto, che confluiranno nel Porto di Lamu in Kenya. Il progetto consentirà maggiore indipendenza al Sud Sudan, per esportare il proprio greggio.

Svoltesi pacificamente, le elezioni del 4 marzo del 2013 hanno portato alla Presidenza della Repubblica Uhuru Muigai Kenyatta – figlio del primo Presidente del Paese, Jomo Kenyatta (1965 al 1978) – che con oltre il cinquanta percento di preferenze, ha sconfitto l’avversario, l’ex Premier, Raila Odinga. I vicini non si scelgono ed il Kenya


marco massoni

ha tutto l’interesse, affinché la Somalia fuoriesca dalla fase post-conflict e riprenda il cammino dello sviluppo: ad esempio il 29 maggio di quest’anno si è svolta a Nairobi la Conferenza Regionale per gli Investimenti e la Ricostruzione in Somalia.

Restano invece considerevoli le tensioni circa la competenza della giurisdizione della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja circa i presunti crimini commessi dagli attuali massimi dirigenti keniani. Il 5 settembre il Parlamento di Nairobi ha approvato una mozione, affinché il Kenya si ritiri dallo Statuto di Roma, che ha posto le fondamenta della CPI nel 1998. L’impasse deriva dal fatto che sia il Presidente, Uhuru Kenyatta, sia il Vice-Presidente, William Ruto, sono imputati di crimini contro l’umanità, per aver presumibilmente favorito le violenze post-elettorali del 2007-2008. Recatosi a deporre all’Aja il 10 settembre, Ruto si è dichiarato non colpevole dei crimini ascrittigli.

Dal luglio 2012 il nuovo Procuratore della CPI è una donna, Fatou Bensouda, già Ministro della Giustizia del Gambia. Sembra evidente che la scelta sia ricaduta intenzionalmente su un candidato africano, dal momento che la CPI è stata sovente accusata di parzialità nei confronti dell’Africa. Com’è noto, l’Unione Africana (UA) ha più volte manifestato fastidio nel dare seguito ai mandati d’arresto emessi dalla CPI nei confronti di alti dirigenti africani. Ad esempio il XVII Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’UA del giugno 2011 a Malabo (Guinea Equatoriale) aveva stabilito che gli Stati membri non avrebbero cooperato con la CPI in merito all’esecuzione del mandato d’arresto internazionale spiccato contro Gheddafi. Si disse che sarebbe stato più opportuno che se ne occupasse la Corte Africana di Giustizia, dei Diritti Umani e dei Popoli in ragione della sua specifica giurisdizione sui crimini internazionali commessi sul suolo africano. In ogni modo nel novembre 2011 l’Alta Corte di Nairobi autorizzò l’arresto del Presidente sudanese, Omar al-Bashir – dal 2009 ricercato dalla CPI per crimini di guerra e crimini contro l’umanità – qualora si fosse recato in visita in Kenya; per ritorsione le autorità sudanesi espulsero l’ambasciatore keniano accreditato a Khartoum.

Tanto gestire le crisi africane per procura (proxy) quanto concepire soluzioni africane ai problemi africani sono tendenze talvolta fuorvianti, non solo perché sottintendono un’inesistente diversità culturale nel discorso pubblico africano, ma anche e soprattutto perché dal punto di vista empirico il più delle volte si limitano a procrastinare qualsiasi soluzione, senza tuttavia fornire risposte politico-istituzionali efficaci e durature. I casi della condivisione del potere politico (power-sharing) a seguito di crisi post-elettorali – come accaduto in Kenya nel 2007 o in Zimbabwe nel 2008 – sono espedienti artificiosi realizzati in nome di un supposto relativismo politico-culturale, a cui quali presunte lezioni apprese non gioverebbe ricorrere con troppa disinvoltura per casi analoghi in futuro, dal momento che non costituiscono precedenti in grado di dimostrarsi conciliabili con norme etico-politiche oggettive, da potersi liberamente praticare, in Africa come ovunque nel mondo, senza per questo incorrere in una profonda rimessa in discussione di quelle procedure formali democratiche che sono internazionalmente riconosciute ed assodate, pena una profonda rivisitazione delle relazioni internazionali. Dopo i sanguinosi eventi del 21 settembre presso il centro commerciale Westgate di Nairobi sono sempre più numerosi gli interrogativi. In quali termini la possibile, ma non certa, trasformazione qualitativa degli Shebaab – guerriglia e non più conflitto armato tradizionale – sarà imprevedibilmente destabilizzante nell’intero scacchiere? In che misura la leadership nel nuovo Presidente keniano potrà indebolirsi o invece rafforzarsi? Quanto la costa orientale africana è esposta ad una penetrazione sottoforma di proselitismo dell’islamismo radicale di matrice

wahabita? In quale misura il maggiore campo profughi del mondo, Dadaab, ubicato nel Kenya settentrionale lungo i confini con la Somalia, può essere fonte di reclutamento per movimenti sovversivi? Quali sono i canali di finanziamento e le reali capacità operative dei terroristi? Come scongiurare lo sfruttamento delle seconde e delle terze generazioni non integrate dei somali in Occidente? Quanto i crescenti interessi di business della comunità somala in Kenya ne subiranno un serio contraccolpo? Si è trattato forse dell’azione estrema di un movimento in declino, oppure del suo esatto contrario? Si è allora davvero riorganizzata la strategia qaidista in Africa Orientale, in ciò che alcuni già chiamano Al Qaida 2.0? Sarà davvero il Kenya il terreno di scontro di una nuova stagione di terrore nel Grande Corno d’Africa?

jubaland. criticita’ e attori coinvolti

nella crisi in somalia meridionale

L’intervento oltreconfine delle forze armate kenyote nell’ottobre 2011, e la successiva presa di Kisimayo nel settembre 2012, hanno sancito un netto ridimensionamento della porzione di territorio occupata dai ribelli al Shabaab. Il controllo delle infrastrutture strategiche nei centri urbani e nelle campagne, così come l’inquadramento istituzionale della nuova amministrazione del Jubbaland, rimangono tuttavia nodi irrisolti che minano il fragile

status quo.

Fino al mese di giugno del 2013, Kisimayo era di fatto divisa in sfere d’influenza tra le milizie somale che avevano affiancato le

Kenyan Defence Forces: da una parte le truppe fedeli ad Ahmed Madobe, ex membro di spicco delle Corti Islamiche appartenente al clan Maxameed Zubeer/Ogadeen; dall’altra le forze di Barre Hirale, ex governatore della regione affiliato al clan Marehan, dai più considerato come alleato locale delle autorità di Mogadiscio. Alla fine di giugno, gli scontri per il controllo del porto hanno portato all’estromissione di quest’ultimo e alla consacrazione di Madobe quale dominus della città. Un ruolo decisivo pare esser stato giocato dai soldati di Nairobi, ancora sul posto in qualità di forza di peacekeeping all’interno della cornice Amisom.

Se la vittoria sul campo pareva consacrare le mire di Madobe verso la costituzione di uno Stato federato del Jubbaland, sulla falsariga del Puntland, gli accordi siglati ad agosto ad Addis Ababa con il Presidente del Governo Federale Somalo (GFS) hanno ridimensionato questa pretesa, pur sancendo il riconoscimento formale della sua leadership.

L’intervento armato di Nairobi ha comportato la piena regionalizzazione della disputa per il controllo del Jubbaland. La perdurante presenza kenyota risponde in parte al proposito di contenere l’insorgenza dell’al Shabaab nel

Northeastern district a maggioranza somala, dove da tempo gli insorti hanno costruito un efficace network clandestino di supporto logistico e militare. L’attentato di Nairobi rappresenta soltanto l’episodio più eclatante di un susseguirsi di attacchi armati contro posti di blocco e obiettivi governativi nell’area intorno a Garissa, capitale amministrativa della provincia di confine.

Il controllo degli snodi commerciali e delle risorse energetiche è però una componente altrettanto importante. La manipolazione dei flussi di import-export del bestiame lungo le rotte transfrontaliere è al centro di una complessa contesa geopolitica tra i due paesi sin dagli anni ‘60. Ad oggi, secondo fonti Reuters, le truppe di Nairobi sarebbero indirettamente coinvolte nel lucroso business dell’export di carbone, promuovendo una ripartizione dei proventi che favorirebbe imprenditori somalo-kenyoti e uomini d’affari legati alla milizia di Ras Kamboni.

Da ultimo, continua a tenere banco l’annosa questione energetica. Nairobi e Mogadiscio, da anni, sono divise da un contenzioso sulla delimitazione delle rispettive piattaforme marittime, in un tratto di mare che cela grandi potenzialità per l’estrazione off-shore di petrolio. Il 6 Giugno 2013 il GFS ha adottato un decreto che sancisce il diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse sottomarine in un’area di 200 miglia a largo delle coste somale. Se effettivamente ottemperata, questa risoluzione sancirebbe l’illegittimità delle concessioni già erogate da Nairobi nel tratto di mare reclamato dal GFS.

Il Presidente Hassan Sheikh Mohamud ha a sua volta sfruttato l’internazionalizzazione della disputa per consolidare le proprie posizioni. Da una parte ha intrapreso colloqui con le compagnie coinvolte, alle quali è stato chiesto di non accettare licenze d’esplorazione da paesi terzi pena l’esclusione da futuri bandi in Somalia. Dall’altra, sfruttando le divisioni interne al forum di coordinamento Amisom, ha chiesto e ottenuto l’appoggio diplomatico di Uganda ed Etiopia per la sostituzione delle truppe kenyote con una forza multinazionale, il cui dispiegamento rimane comunque procrastinato a data da destinarsi.

La contesa su Kisimayo e il successivo accordo di Addis Ababa si iscrivono all’interno del processo di negoziazione delle prerogative delle amministrazioni regionali che dovrebbero andare a costituire il futuro stato somalo.

Le posizioni in campo riflettono la divisione tra i sostenitori di un governo federale forte, espressione delle istanze di Mogadiscio, e i fautori di un’architettura istituziona


luca puddu

le decentrata, di cui Madobe è al momento un alleato interessato. Una parziale vittoria dei primi è stata ottenuta con la modifica del nome del Jubbaland State – il quale verrà d’ora innanzi identificato come "amministrazione ad interim del Juba" – e l’impegno a trasferire entro sei mesi al governo centrale il controllo del porto e dell’aereoporto di Kisimayo. L’accordo di Addis Ababa non risolve tuttavia i nodi fondamentali della questione, in particolare lo smantellamento delle milizie locali. Secondo la lettera del documento, Ras Kamboni e le forze alleate saranno integrate all’interno dell’esercito nazionale somalo, mentre l’amministrazione ad interim potrà mantenere un corpo di polizia regionale. A parte l’aleatorietà della distinzione, la gestione del processo d’integrazione è demandata ad un Comitato congiunto GFS/Juba, di cui non sono però individuati nè i tempi nè le procedure concrete. Da ultimo, non è chiaro fino a che punto il trattato di Addis Ababa venga considerato vincolante da tutti gli esponenti dell’establishment federale. Durante un incontro con autorità locali nel Bay e Bakool il 21 settembre, lo Speaker del Parlamento Osman Jawari ha ad esempio auspicato la formazione di amministrazioni regionali sulla falsariga della suddivisione amministrativa pre-1991: un appello in aperta contrapposizione con la lettera dell’accordo, il quale riconosce la giurisdizione formale dell’amministrazione ad interim sulle tre province del Basso Giuba, Medio Giuba e Gedo.


La dimensione locale del problema



A livello locale, la dimensione clanica rappresenta un’ulteriore, ma non l’unica, linea di attrito. La contesa tra Barre Hirale e Ahmed Madobe si inserisce all’interno della pluridecennale disputa tra clan Marehan, Harti e Maxameed-Zubeer per il controllo delle infrastrutture agricole e commerciali della valle del Giuba. Sebbene le linee di divisione clanica non debbano essere lette in maniera troppo rigida, l’accordo di Addis Ababa ha di fatto riconosciuto la cristallizzazione delle posizioni acquisite dalle milizie Marehan nel Gedo, così come quelle delle forze riconducibili ai clan Maxamed-Zubeer nel Basso Giuba. Ciò da una parte non scioglie il nodo della disputa tra clan maggioritari, ma al contempo apre un’ulteriore frattura nel rapporto tra Mogadiscio e autorità periferiche nelle province limitrofe. Nella regione del Bay e Bakool risiedono infatti comunità riconducibili ai clan Digil-Mirifle, i quali reclamano diritti storici di occupazione sulle fertili pianure del basso Giuba. Le politiche di colonizzazione agricola intraprese da Siad Barre negli anni ‘70 e ‘80 prima, l’occupazione armata delle piantagioni da parte delle milizie dei signori della guerra poi, hanno di fatto modificato i rapporti di produzione nel comparto agricolo, obbligando queste comunità a entrare in accordi di mezzadria con i clan di recente immigrazione o spostarsi verso aree adiacenti. La firma del trattato di Addis Ababa – che di fatto disconosce, almeno nel breve periodo, le pretese di questi ultimi sulle risorse contese – ha provocato la ferma reazione delle autorità tradizionali (i consigli degli anziani) nel Bay e Bakool, le quali hanno invitato i membri del Parlamento somalo in quota Digil-Mirifle ad abbandonare le loro funzioni e denunciare la collaborazione col GFS.

Accanto alla dimensione clanica, non va sottovalutata quella economica sottesa al rapporto città-campagne e al conflitto "di classe" tra intermediari commerciali e produttori agricoli, il quale potrebbe incidere direttamente sulla capacità di ripresa di Al Shaabab. I recenti attentati in territorio somalo e kenyota hanno attestato la perdurante capacità di proiezione militare degli insorti, che mantengono il controllo delle aree rurali e di gran parte della provincia del Medio Giuba. La sopravvivenza dell’organizzazione islamista dipenderà molto dal grado di sostegno che questa sarà in grado di riscuotere dalla popolazione locale, soprattutto alla luce della perdita delle fonti di reddito legate al porto di Kisimayo. Studi recenti mostrano come il movimento sia stato capace di creare reti di consenso trasversali, grazie all’efficace lotta alla criminalità comune maturata attraverso l’istituzione di una capillare rete di corti islamiche sul territorio. Ancor più rilevanti appaiono però le politiche di sostegno ai prezzi dei prodotti agricoli. La messa al bando delle organizzazioni umanitarie va infatti letta come un sussidio indiretto ai produttori primari, i quali avevano spesso lamentato in passato le ricadute deflattive dell’erogazione di derrate alimentari nel periodo del raccolto. Questo approccio appare in evidente contrasto con le politiche adottate in altre

aree del Paese sotto il controllo nominale dei diversi governi federali di transizione. Qui, la pratica delle organizzazioni umanitarie di negoziare la distribuzione degli aiuti con i signori della guerra locali ha non solo penalizzato i piccoli coltivatori, ma creato delle posizioni di rendita artificiali a favore di intermediari sostenuti dalla forza delle armi, come dimostrano le ripetute denunce di distrazione e rivendita sul mercato nero dei cereali forniti dal World Food Program.

In conclusione, quindi, non può che essere ribadito il fattore di rischio conensso alla molteplicità e conflittualità degli attori presenti sul territorio. Maggiore il numero dei competitori, maggiore sarà la difficoltà a trovare un compromesso che soddisfi tutte le istanze in gioco, e maggiore sarà la possibilità che i gruppi penalizzati dal nuovo assetto istituzionale trovino sponde utili per rimettere in discussione lo

status quo.

considerazioni sulla diaspora somala,

in italia e nel mondo

"Diaspora" è termine che rimanda alla "dispersione" e alla "disseminazione": nelle scienze sociali è quella dei popoli, costretti ad abbandonare le proprie terre d’origine. La diaspora della comunità somala rappresenta oggi una fra le tante di un fenomeno sempre più globalizzantesi. Dopo il collasso delle strutture istituzionali il fenomeno è aumentato di scala e la comunità espatriata ha svolto anzi un ruolo trainante, talora prominente – in forza della sua consistenza numerica – sull’establishment nazionale. Essa resta un riferimento costante per la politica interna e le relazioni areali e internazionali del Paese, pur non essendo unitaria né univoca nei suoi componenti e nei suoi orientamenti.


Consistenza numerica nel mondo e in Italia, e radicalizzazione



La guerra civile ha aumentato le partenze nelle ultime due decadi, ingrandendo in particolare le comunità in Europa, in America del nord, nella penisola araba e in Kenya. Essa ha anche alterato i trasferimenti, rendendoli in larga parte irregolari e perciò sottratti a stime precise.

Almeno 90.000 persone di origine somala risiedono in Gran Bretagna – le stime giungono a superare le 100.000 unità – in particolare a Londra, Birmingham e Liverpool; circa metà dei presenti vi è nato. 40.000 sono in Svezia, raddoppiati nel corso dell’ultimo quinquennio; 35.000 nei Paesi Bassi (i due terzi migranti di prima generazione). Grandi comunità sono insediate negli altri Paesi dell’area scandinava e baltica: circa 30.000 persone in Norvegia, quintuplicate nel periodo 2000-2013. Oltre 17.000 in Danimarca: alcune centinaia erano i somali presenti negli anni Ottanta, circa 1.400 nel 1992, 12.000 nel 1998: essi si sono poi stabilizzati sulle cifre attuali nel decennio 2003-2013. 15.000 persone di lingua somala vivono in Finlandia, presenze triplicate nel periodo 2009-2012.

Per quanto attiene all’America del nord, New York spiccava quale meta di emigrazione sin dal secondo dopoguerra, ma i flussi sono mutati dopo l’indipendenza e le crisi dello Stato somalo e si sono indirizzati verso il Minnesota, nell’area di Minneapolis/St. Paul. In quartieri a forte impronta somala abiterebbero almeno 32.000 persone (36.000 secondo stime non ufficiali), vale a dire oltre un terzo degli oltre 80.000 somali residenti negli Stati Uniti, nelle grandi città della costa orientale e occidentale e a Washington. Il Canada ospitava circa 45.000 persone nel 2011, in particolare nelle grandi città dell’Ontario. Talune stime che appaiono sovradimensionate pongono la comunità somala canadese a 150.000 unità.

Meno numerosa è la presenza negli Emirati Arabi Uniti dove tuttavia – concentrata in Dubai – si raccoglie un pilastro fondamentale della rete imprenditoriale e commerciale somala nel mondo. Le maggiori comunità sono in ogni caso quelle del Kenya ove vivono circa 900.000 somali nelle province orientali e nel quartiere Eastleigh della capitale Nairobi, oltre che in Gibuti ove il gruppo etnico somalo costituisce la maggioranza della popolazione, come nell’Ogaden etiope. Altri poli di insediamento nel


Vincenzo palmieri

continente africano sono in Sudafrica a Città del Capo, in Sudan e in Egitto.

In Italia la comunità somala conta alcune migliaia di persone ed è numericamente piuttosto stabile. Dalle circa cinquemila presenze del 2002 si è passati alle ottomila del 2010; a Roma vivono circa un quarto di essi, alcune centinaia sono invece censiti a Firenze, Milano e Torino. La comunità risulta divisa tra una "prima generazione" (che può identificarsi negli arrivi sino agli anni Ottanta: fin quando l’Italia era ancora un punto di riferimento per la classe dirigente, pur dopo la fine del periodo coloniale) e una "seconda" ad essa successiva. All’assottigliarsi dei legami diretti di parentela, di lingua, di formazione – e più in generale con l’irrigidimento delle politiche di accoglienza/rifugio e delle possibilità economiche – il Paese è divenuto al più un transito per altri Paesi dell’Europa o dell’America del nord.

L’Italia non ha dato ai somali ciò che peraltro non dà a parte dei suoi stessi cittadini. Vi è una certa fredda delusione al riguardo, nella consapevolezza che il legame tra la classe dirigente italiana e il Corno d’Africa, resistito al trascorrere del tempo, è oggi in discussione al pari di altri elementi fondanti della politica interna ed estera italiana. Ciò in scia ad altri attori "occidentali", che hanno molto studiato il fenomeno senza produrre per lungo tempo elementi di novità per la soluzione del conflitto (o al peggio sembrando promotori del suo prolungamento) né per mutare la percezione negativa degli interessi in gioco da parte di taluni elementi della comunità espatriata.


Riflesso sulle sfere di sicurezza e resilienza



Il risentimento è per taluni fonte di radicalizzazione e su questo fattore puntano taluni esponenti del fondamentalismo somalo, decisi a perseguire atti di terrorismo sul suolo nazionale e interessati a esportare la causa al di fuori dei confini. Tale dinamica appariva in dispiegamento in particolare in danno del Kenya e più in generale in Africa orientale oltre che in talune comunità del mondo anglosassone ancor prima dell’ultimo evento di Nairobi (attacco al centro commerciale Westgate tra il 21 e il 24 settembre).

Non vi è un singolo fattore di rischio che emerga a innescare e consolidare l’adesione alle reti dell’estremismo violento. La letteratura si indirizza piuttosto verso l’interazione di più fattori paritari, al livello familiare, della comunità, della società e più in generale dello Stato di accoglienza. Ove combinati a creare una struttura che tende a impoverire e a isolare l’individuo e a legittimare la violenza, essi determinano delle opportunità per l’estremismo e i loro reclutatori. Ciò in linea con le tendenze più "moderne" del

jihadismo, sempre più spesso attuato da singoli o da piccoli gruppi autonomi e auto-radicalizzati.

In uno con le più generali strategie politiche internazionali divengono quindi necessari interventi di ricostruzione dei legami tra i Paesi di accoglienza e le comunità della diaspora e gli sforzi per aumentarne la resilienza, ovvero la resistenza a rottura e l’attitudine dei singoli a riprendere, pur dopo una sollecitazione, il tratto originale. Imprescindibile è il potenziamento delle risorse a ciò dedicate a livello statale e di comunità verso i singoli e i nuclei familiari.


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, Research Fellow di IGS - Institute for Global Studies. Esperto di Africa Orientale e Subsahariana.

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, Direttore di IGS - Institute for Global Studies. Esperto di Medio Oriente e Africa Orientale e direttore della ricerca sul Maghreb e il Medio Oriente presso il Centro Militare di Studi Strategici del CASD (Centro Alti Studi della Difesa).

Luca PUDDU, Research Fellow di IGS - Institute for Global Studies. Esperto di Africa Orientale e Subsahariana e ricercatore presso l’Università di Cagliari. Attualmente impegnato in attività di ricerca presso il Wilson Center di Washington DC.

lunedì 14 ottobre 2013

DI LUCA CARAMAGNA  COMMISSIONE RIFUGIATI MALTA  CORRISPONDENTE PER MALTA PER AFRICANPEOPLE REVIEW AND RADIO




 

‘300 migrants rescued from a sinking vessel and taken to Lampedusa as the weather turned bad on the high seas’ a local Maltese newspaper reports. One can easily believe that this highlight was written in regards to the recent tragedy that hit the news; but this is not the case. This abstract comes from a newspaper article published way back in 2008, Tuesday 25th September to be exact. More or less the same time that a boat carrying hundreds of presumed African migrates caught on fire, capsizing, and claiming hundreds of lives. Malta has once again taken a central position on the matter, bringing a new wave of proposed change to the ever increasing issue.

Yet again the issue of migrants coming to Southern Europe from North Africa by boat has hit the headlines, an area of high concern. This time it seems to have gone beyond newspapers and onto the discussion tables of decision makers. Yet one wonders ‘what has been done and what is being done regarding an issue that is not new to governments and institutions?’.

The Maltese Search and Rescue Region (SRR) is vast, covering in excess of 250,000 square km. Rescuing boats at distress has become one of the Armed Forces of Malta’s main duties within this area. The Maltese government has begun talks on the two fronts; from a EU member state position to a Libyan ally position. But it wasn’t long ago that Malta hit headlines regarding boat arrivals.

In February 2013 Malta hit international headlines when it threatened that it will use ‘push back’ on a boat carrying a large number of African migrants. Immediately local and internationally based NGOs reacted strongly to such a behavior, Brussels also declaring ‘push-back’ illegal. This all came to an end when later that night the European Court of Human Rights blocked the deportation of the migrants. Later that day the Maltese government issued a statement saying such a practice was not planed to take place but was aimed at catching the attention at EU level on an issue that has not been taken seriously enough. Since then boat arrivals on the coast of Malta and its neighboring island of Lampedusa have been frequent and yet no action was taken. With the deaths of hundreds of people in the recent weeks Malta has hit headlines once again. As a boat heading towards the Southern Mediterranean European coast caught on fire when a blanket was lit in order to catch the attention of rescuers. The boat capsized claiming over a hundred lives, amongst them were women and children. As had happened with the ‘push-back’ incident Malta’s Prime Minister Joseph Muscat demands that the EU, as a unified body, deal with this matter.

Monday 7th October a peaceful protest took place outside the Maltese Law Courts where ex asylum seekers asked for more rights, and to deal with the feeling of anti Semitism found on the island and which was fueled by the past cry to ‘push-back’. In light of the protests the Maltese government began moving towards a solution.

Malta proposed at an EU Home Affairs Ministers meeting on the 8th October that a task force should be set up to focus on irregular migration, including tracking down people traffickers who were behind irregular migration. Home Affairs Minister Manuel Mallia said the reaction was very positive. He said he stressed at the meeting that tragedies such as the one in Lampedusa were an issue, which involved the whole EU, and not any single country. Malta demanded concrete action and insisted that words were not enough.

Malta also argued that the situation in Libya was difficult but it was important for Libya to open up negotiations and that the EU should not give up. Malta again is seen taking its role as the bridge between the EU and Libya.

Since then The European Commission has proposed a Mediterranean-wide search and rescue mission by the European Union to intercept migrant boats presumably prompted by the Lampedusa migrant boat tragedy, which killed more than 230 people. The plan calls for an operation by the Frontex border agency "from Cyprus to Spain", Malstroms spokesman told the BBC. Regardless of this the meeting held by European parliamentarians the following day spoke little of Malta although Malta’s MEPs asked for more holistic approaches. Since then action has been slow, talks for further meetings have been planned but yet tragedies continue to occur as yet other boats capsize claiming more deaths each time. The rescued passengers were split between the Italian and the Maltese rescue team and a hot line was set up to reunite split families or couples. Still on an EU front it was also reported, Saturday 12th October 2013, that MEP Roberta Metsola has been appointed to form part of a cross-party, high-level delegation of the Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE) Committee of European Parliament that will visit Malta to discuss irregular immigration at the end of this month.

The delegation will visit the European Asylum Support Office (EASO) in Malta between October 29 and 30 and will also include Austrian and Dutch MEPs from the Socialists (S&D) and the Liberals (ALDE) groups in the European Parliament.

The MEPs are expected to hold talks with different stakeholders in Malta and will also hold a dialogue with the public. Malta has now also opened bilateral talks with Libya.

On Sunday, 13th October, a joint press conference between Libyan Prime Minister Ali Zeidan and Maltese Prime Minister Joseph Muacat at the Corinthia Bab Africa Hotel in Tripoli where the two held. Dr Muscat flew in for the meeting with a delegation that included Foreign Minister George Vella for a symbolic short visit intended to show solidarity with Mr Zeidan and his government after last week he was abducted by militiamen in what was described as an attempted coup.

Dr Muscat said Malta wanted to send a message that it is behind the Libyan people's effort to build a democratic state where the rule of law is paramount.

"We know that the majority of Libyan people do not believe that might is right and that political leadership should be removed with weapons. Governments should only be removed through elections," he said.

Earlier Mr Zeidan said during the meeting that he appreciated the Maltese gesture and felt that it helped take relations between the two governments to a whole new level.

The weekend's tragedy, in which dozens lost their lives when a boat with some 250 refugees capsized 120 miles off Malta, was a focal point in the discussions.

Dr Muscat said the issue of migration in Libya should be discussed in light of the wider security and stability concerns in Libya.

He said Mr Zeidan had put to him serious proposals where Europe could help with security training and access to the EU's satellite system, for instance, and that he would be relaying this message at the forthcoming EU summit dealing with the subject next week.

Mr Zeidan said Libya was in the exact same situation as southern European states, stressing that Libya had not 'opened its doors' to this problem.

He pledged that his Government would do its utmost to secure known hubs for departures like Zuwara, where the migrants from Friday's tragedy left. However, he insisted that Libya needed Europe's help.


Lampedusa, Di Biagio (Sc): Italia restituisca salme a paesi di origine (ilVelino/AGV NEWS) Roma, 14 OTT - "Consegnare le salme delle vittime della tragedia di Lampedusa ai loro Paesi di origine, soprattutto quando sono questi a chiederlo a gran voce e attraverso le vie diplomatiche, rappresenta un atto di rispetto che non puo' essere disatteso dal nostro Paese". Lo dichiara in una nota Aldo Di Biagio, senatore di Scelta Civica. "Malgrado il tentativo di apertura di un canale diplomatico tra Paesi di origine dei migranti, come l'Eritrea, e le autorita' italiane - spiega - al momento non risulta essere stato predisposto un protocollo speciale finalizzato alla gestione del rimpatrio salme, almeno per quelle gia' riconosciute e in procinto di essere seppellite nei cimiteri siciliani, anzi dai Ministeri competenti non c'e' stata alcuna risposta o direttiva". "Si predilige creare piani straordinari avviando gare inutili di solidarieta' per trovare nuovi posti per inumare le salme in Italia - sottolinea- mentre i Paesi di origine sono disposti a rimpatriare le salme a proprie spese anche per consentire il rispetto delle tradizioni culturali ed il ricongiungimento con i familiari superstiti". Di Biagio conclude "Tragedie come queste non devono alimentare demagogia ma invitare al pragmatismo orientando i piani di intervento a scelte concrete che non possono pero' escludere quelle terra da cui le vittime sono partite, anche nei casi in cui con questi paesi non ci siano "lieti" rapporti diplomatici". (com/sol) 152414 OTT 13 NNNN 14-10-13 1524