martedì 10 gennaio 2012

 
UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI MILANO BICOCCA Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
"I Living Museum San in Namibia.
Etnografia, turismo e immaginario turistico."
Relatore: Prof.ssa Alice Bellagamba
Correlatore: Dott.ssa Chiara Brambilla
Tesi di Laurea di
Sara RIZZI
Matricola n. 073120
Anno Accademico 2009/2010 Autore Sara Rizzi 2 Per quella camminata alla "Corna Buca" mai fatta e
per quel viaggio a "Nova York" a lungo immaginato…
Ma i veri viaggiatori partono per partire: cuori leggeri, come palloni in alto vanno, il loro corso mai vorrebbero smarrire, dicono sempre "andiamo!", ed il perché non sanno. I loro desideri hanno forma di nuvole. Come il coscritto sogna il cannone, essi anelano a voluttà immense, sconosciute e mutevoli, dal nome che a nessuno davvero si disvela.*…+
Viaggiatori mirabili! Quali nobili storie leggiamo nei vostri occhi, profondi come mari! Mostrateci gli scrigni delle vostre memorie, gioielli d’astri e d’etere, meravigliosi e rari. Vogliamo navigare senza vapore e vela. Per ridurre la noia d’una vita murata, offrite ai nostri spiriti, tesi come una tela, tutti i vostri ricordi da orizzonti cerchiati. Dite: che avete visto?
C. Baudelaire," Il Viaggio. A Maxime du Camp" (1859)
*…+ la natura del Boscimano non sopporta nessun giogo, e anche nella prigionia non perde mai quell’impulso selvaggio alla libertà, che caratterizza il vero figlio della natura …
R. Bosi, "I Boscimani del Kalahari" (1961)
Autore Sara Rizzi 3 INDICE INTRODUZIONE ......................................................................................................................5
PRIMA PARTE TURISMO ED ANTROPOLOGIA ........................................................................10
Capitolo 1 Turismo ed antropologia ..................................................................................10
1.1 L’antropologia del turismo ......................................................................................12
1.2 Definizioni e interpretazioni di turismo ...................................................................16
1.2.1 Visione transazionale .......................................................................................17
1.2.2 Approccio strutturale .......................................................................................18
1.2.3 Turismo come rito di passaggio ........................................................................18
1.3 Il turismo come fenomeno globale ..........................................................................20
1.4 Turismi e aggettivi...................................................................................................26
Capitolo 2 Sguardi, pratiche ed immaginario turistico ...................................................33
2.1 Lo sguardo e l’immaginario turistico .......................................................................33
2.2 Problemi di autenticità............................................................................................38
2.3 Pratiche di Community Conservation ......................................................................43
SECONDA PARTE ...................................................................................................................50
IL TURISMO IN NAMIBIA E LA POPOLAZIONE SAN .................................................................50
Capitolo 3 Il turismo in Namibia ....................................................................................50
3.1 La Namibia e l’etnia San ..........................................................................................52
3.2 Lo sviluppo del turismo namibiano dall’Indipendenza .............................................60
3.3 Politiche governative del Ministry of Environment and Tourism of Namibia ...........65
3.4 Il Namibia Tourism Board e l’immaginario turistico sulla Namibia ...........................67 Autore Sara Rizzi 4
3.5 Il turismo italiano in Namibia ..................................................................................74
Capitolo 4 I Living Museum San ....................................................................................78
4.1 Living Culture Foundation Namibia .........................................................................80
4.2 I Living Museum San ...............................................................................................83
4.3 I San, il turismo e l’autenticità .................................................................................92
4.4 Spunti di riflessione ulteriori sui living museum ......................................................97
CONCLUSIONI ..................................................................................................................... 103
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................................... 107
WORKING PAPERS E DOCUMENTI ........................................................................... 111
SITOGRAFIA ............................................................................................................ 112
FILMOGRAFIA ......................................................................................................... 113
INTERVISTE TIPO ED ELENCO DEGLI INTERVISTATI .............................................................. 114
INTERVISTA TIPO PER TURISTI IN VIAGGIO IN NAMIBIA ........................................... 114
INTERVISTA TIPO PER TOUR OPERATOR ITALIANI IN NAMIBIA ................................ 114
INTERVISTA TIPO PER I SAN DEI LIVING MUSEUM ................................................... 115
INTERVISTE SVOLTE SUL CAMPO TRA GIUGNO E AGOSTO 2010 .............................. 116
APPENDICE ......................................................................................................................... 120
APPENDICE 1: The Constitution of The Republic of Namibia .................................... 120
APPENDICE 2: Introduction of "Draft Tourism Policy 2001-2010", Ministry of Environment and Tourism of Namibia ..................................................................... 121 Autore Sara Rizzi 5
INTRODUZIONE «Estate 1987, strada Nairobi-Arusha. L’autista del bus è un kikuyu simpatico e chiacchierone. Mentre percorriamo la savana appena a sud della città vedo due masai, vestiti come ci si aspetta che siano vestiti i masai, camminare lungo la strada. "Quelli sono masai!" dico entusiasta girando il capo per seguirli con lo sguardo, mentre sfilano accanto al bus che corre rapido.
L’autista mi guarda contrariato. È quasi arrabbiato: "Voi bianchi io non vi capisco. Siete venuti a civilizzarci avete portato la modernità, le auto, la città. Poi venite qui e nemmeno guardate i grattacieli di Nairobi! Nairobi è una grande città, moderna, ma voi andate a cercare quelli che vivono nelle capanne. I selvaggi, come quei masai. Guarda come sono vestiti loro e guarda come sono vestito io!"»
1. 1 M. Aime, "L’incontro mancato: turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, Torino, 2005, pag. 9. Aime sostiene che ai tempi dell’evento egli era ancora un turista, non un antropologo. Cercava nel viaggio un appagamento alla curiosità, alla necessità di esotismo e di emozioni nuove. Queste ultime non potevano essergli fornite dai grattacieli di Nairobi, semplicemente perché non rientravano nel suo immaginario turistico del Kenya.
In questa breve citazione da "L’incontro mancato: turisti, nativi, immagini" di Marco Aime (2005), rintracciamo alcuni dei concetti fondamentali che andremo a sondare nel nostro elaborato e ad applicare al caso specifico della Namibia. Tra questi vi sono lo studio critico di alcuni temi dell’antropologia del turismo, dell’immaginario turistico, del
Come molti, e forse come Aime, sono stata anch’io in Namibia "da turista" nel 2008 e proprio la superficiale conoscenza del luogo datami dall’esperienza turistica mi ha portata alla scelta di approfondire, di tornare - questa volta "da antropologa" - in un Paese a mio giudizio ricchissimo di spunti di ricerca e di studio.
La Namibia è uno Stato giovane, divenuto indipendente dal Sudafrica nel 1990. Con la sua recente crescita economica e con l’incremento degli investimenti governativi nel settore Autore Sara Rizzi 6
community based tourism (CBT) e dell’etnicità, attraverso il caso etnografico della Namibia ed in particolare di alcune iniziative turistiche che coinvolgono le popolazioni San della zona Nord-Est del Paese, nella regione di Otjozondjupa. turistico, rappresenta un grande mercato, soprattutto per quanto riguarda l’ecoturismo, il turismo culturale, etnico, di lusso e le vacanze le vacanze avventura.
La Costituzione namibiana è l’unica di tutta l’Africa a contemplare lo sviluppo sostenibile e la conservazione dei complessi ecosistemi del Paese (Cencini, 2004). La ricchezza naturalistica e paesaggistica, nonché la pluralità culturale ed etnica, rappresentano infatti un fattore essenziale ed una grande risorsa per lo sviluppo turistico namibiano (Calandra e Turco, 2007).
Le numerose considerazioni sul turismo quale fenomeno globale, motore economico e possibile risorsa per i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, sottolineano una necessità di comprensione ancora più profonda di questo fenomeno. Con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, secondo Frangiagalli - Segretario Generale dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) - nelle economie povere non c’è settore che crei più impieghi del turismo
2. Parafrasando Marcel Mauss, potremmo riferirci al turismo come ad un «fatto sociale totale» per la pregnanza e la pervasività dei suoi meccanismi e per le caratteristiche con le quali modella il presente ed allo stesso tempo ne è modellato. 2 "Jeune Afrique", 14/01/2007. Citato in L. M. Calandra e A. Turco, 2007. Un’antropologia del turismo nasce proprio dalla necessità di esplicitare una visuale riguardo un fenomeno enormemente esteso e che induce una serie di effetti sia per gli
La vincita della borsa di studio del Programma Extra mi ha permesso di avere contatti proficui con la University of Namibia e in particolare con il Professor Becker e alcuni suoi studenti con i quali ho avuto modo di collaborare e dai quali ho ottenuto numerosi spunti interessanti riguardo il lavoro di ricerca. Altri canali molto importanti sono stati il
host (i visitati, gli ospitanti) che per i guest (i visitatori, gli ospiti). Utilizzeremo all’interno dell’elaborato questa terminologia per sottolineare il momento particolare dell’"incontro" che il turismo implica fra diversi gruppi sociali, fra "ospitati" ed "ospitanti"(Simonicca, 2004). Namibia Tourism Board ed il Ministero namibiano per il turismo e lo sviluppo (MET), nonché i numerosi tour operator italiani incontrati che ci hanno fornito un’ottima panoramica sul "mondo del guest". A questi si aggiunge la The Living Culture Foundation Namibia che - come Autore Sara Rizzi 7 vedremo - è direttamente coinvolta nella creazione e sviluppo dei living museum e il
Il lavoro di ricerca ha adottato una metodologia etnografica - attraverso interviste, osservazioni partecipanti e incontri con vari soggetti coinvolti - propria dell’antropologia del turismo, al fine di proporre l’approfondimento di un tema di estremo interesse ed attualità: lo "stato dell’arte" dello sviluppo turistico nel continente africano e le prospettive future, con particolare riguardo allo studio del rapporto tra sistema turistico e reazioni delle popolazioni native. Secondo gli antropologi francesi Marc Augè e Jean-Paul Colleyn (2004), il quesito dell’antropologia è: com’è concepita la relazione tra gli uni e gli altri, dagli uni e dagli altri, in un dato luogo?. Uno dei tentativi di questo studio è stato quindi quello di scoprire come i turisti (
La ricerca nel primo capitolo si concentra sul tema del turismo, sulla sua caratteristica interdisciplinare, sulla sua particolare relazione con l’antropologia e sulla sua importanza a livello globale. Una serie di dati statistici e di
Nel secondo capitolo svilupperemo una serie di tematiche legate all’autenticità, all’immaginario turistico e ad una forma particolare di progetti che lega comunità locali ed iniziative turistiche detta
Working Group of Indigenous Minorities in Southern Africa (WIMSA). guest) e i San (host) concepiscono la relazione tra di loro nel luogo "Living Museum", come si percepiscono gli uni gli altri, quali immaginari o pregiudizi portano con sé. excursus storici ci aiuteranno a comprendere meglio il peso che il fenomeno turistico possiede a livello sociale oggi e come è cambiato nel tempo. Tenteremo inoltre di dare qualche definizione e di chiarire le relazioni tra i diversi tipi di turismo, all’interno di un labirinto di aggettivazioni e significati che si intersecano. community-based tourism. Le prime due tematiche sono multidisciplinari e legate al soggetto "turista". Per trattare il tema dell’autenticità ci rifaremo a concetti antropologici chiave e a studi etnografici. Ci interessa comprendere in particolare quale sia la percezione di "autenticità", "verità" e "tradizione" del guest rispetto a ciò che vede e gli viene proposto dall’host. Il tema dell’immaginario ci consentirà di toccare alcuni nodi importanti legati agli attori chiave del settore turistico, cioè le agenzie e i tour operator, ma di concentrarci anche sul ruolo del "passaparola" e dell’esperienza altrui conosciuta attraverso il racconto di viaggio. L’immaginario occidentale sull’altro, creatosi negli anni - Autore Sara Rizzi 8 come sostiene e descrive Said3 parlando dell’Oriente - attraverso la letteratura, la pittura, la fotografia e oggi attraverso i tour operator e internet, nascerebbe dall’opposizione con l’Occidente stesso. Immaginiamo e descriviamo ciò che non siamo, ciò che è diverso da noi in una chiave di lettura d’opposizione (Aime, 2005; Urry, 1995). Per quanto riguarda il community-based tourism tenteremo di comprenderne la natura e le pratiche attraverso esempi concreti localizzati in particolare nel continente africano. 3 Said E., "Orientalismo", Feltrinelli, Milano, 1999. 4 E. Chambers (a cura di), "Tourism and Culture. An Applied Perspective", State of New York University Press, Buffalo, 1997, pag.3. Dal Terzo Capitolo la nostra attenzione si concentrerà sullo studio di caso della Namibia. Attraverso la storia dei San ripercorreremo le tappe fondamentali della storia namibiana, evidenziando la condizione dei San oggi, la situazione economico-sociale namibiana, la divisione delle terre e la presenza occidentale. Ci concentreremo sullo stato dell’arte del turismo in Namibia, sulle sue pratiche, sulle politiche proposte e messe in atto dal Governo, sull’immaginario turistico che si è costruito intorno alla Namibia e infine sulla presenza italiana in Namibia.
Nel quarto capitolo tratteremo la proposta dei living museum, cercando di comprendere la natura del progetto, le sfaccettature positive e negative, gli attori coinvolti, il punto di vista degli
La ricerca di campo si è svolta in Namibia tra giugno e agosto 2010. I momenti principali sono stati tre: a Windhoek, la capitale namibiana, dove ho avuto modo di intervistare rappresentanti di tour operator italiani, turisti in partenza per un tour o di ritorno in Europa Autore Sara Rizzi 9
host e quello dei guest. Il tutto verrà inserito nel quadro teorico e nel dibattito sul turismo e lo sviluppo precedentemente articolato. Avremo modo di considerare ed analizzare alcune riflessioni scaturite dalle interviste sul campo con i turisti. Toccheremo allora il tema dell’autenticità e dell’immaginario occidentale sull’Africa, della tradizione e dell’incontro - spesso "mancato", per citare Aime (2005) - tra host e guest. Come vedremo l’incontro con l’Altro, e ancor prima il viaggio, portano con sé una serie di preconcetti e immagini precostruite che creano una "barriera" nell’incontro (Barberani, 2005; Simonicca, 1997; Urry, 1995). Come sostiene l’antropologo americano Erve Chambers, da sempre il turismo è un’«attività mediata»4. e rappresentanti di enti turistici, culturali, universitari e governativi utili ai fini della ricerca; presso lo Ju/’Hoansi San Living Museum di Grashoek, nella regione di Otjozondjupa e presso il Living Museum of the Nharo San vicino alla capitale Windhoek. Il contatto con la popolazione san che gestisce i due living museum e con i turisti presso questi luoghi insieme alla possibilità di osservare momenti di scambio diretto host-guest mi ha permesso di applicare le conoscenze teoriche e di arrivare ad una ricerca etnografica dalla quale è emersa la profonda complessità dei temi legati al turismo, allo sviluppo e all’autenticità. Autore Sara Rizzi 10 PRIMA PARTE TURISMO ED ANTROPOLOGIA Capitolo 1 Turismo ed antropologia Il tema del turismo è multidisciplinare e dal punto di vista della sua intelligibilità sistemica si colloca all’incrocio fra diverse componenti dell’azione umana: sociale, politica, economica, culturale (Simonicca, 2004). Condizionato dalla tecnologia, ha condizionato e condiziona l’economia ed è diventato un elemento imprescindibile della società odierna e addirittura uno
In "
status simbol, rito riconosciuto ed irrinunciabile (Urry, 1995). Ricordiamo inoltre che nel mondo c’è chi può essere turista e quindi "visitatore" e chi può solamente "essere visitato" (De Kadt, 1978; Garrone, 1993). Baumann (2002) e Bienman (2003), parlano di gerarchie della mobilità generate della globalizzazione. Il viaggio è uno status symbol e il frutto di una cultura e di un’economia del tempo libero che solo alcune società ed alcuni suoi membri possono permettersi. Si potrebbe vedere come una manifestazione della crescita economica e del benessere diffuso della seconda metà del Novecento nei Paesi occidentali. The Tourist Industry", uno dei primi importanti studi del fenomeno turistico ad opera dell’economista Arthur Joseph Norval5, l’autore partiva dalla constatazione di universali umani - quali desiderio di viaggiare e bisogno di commercio - e passava poi a definire l’"industria turistica" come settore economico specializzato deputato ad incidere in termini di sviluppo economico nel periodo dopo il 1929. Si parlava allora di turismo come "turismo internazionale", come economia e sviluppo del traffico internazionale. Il valore associato al 5 A.J. Norval, "The Tourist Industry: a national and international survey", Pitman, London, 1936. Autore Sara Rizzi 11 fenomeno si riferiva dunque per lo più ai flussi turistici tra società sviluppate e Terzo Mondo, secondo termini positivi legati al concetto occidentale di sviluppo6. La maggior parte del fenomeno turistico interessa l’Occidente industrializzato, sebbene il Terzo Mondo presenti il ritmo più forte di crescita e sviluppo turistico (Simonicca, 1997). 6 Nel corso del Capitolo 1 avremo modo di sviluppare e spiegare termini discussi come "Terzo Mondo" e "sviluppo", in particolare nei sottocapitoli 1.3 e 1.4. Tutte queste sfaccettature confluiscono nel grande tema del turismo, del quale si è necessariamente occupata anche l’antropologia insieme a numerose altre scienze. Da queste considerazioni nasce la necessità di una bibliografia e di un’analisi del fenomeno multidisciplinare anche all’interno di questo studio in modo da non tralasciare aspetti fondamentali e visioni differenti nell’analisi del fenomeno turistico all’interno del nostro luogo specifico: i living museum. Autore Sara Rizzi 12 1.1 L’antropologia del turismo Rimuginiamo sul fatto che ormai gli antropologi non hanno più molto da fare con le popolazioni primitive, ridotte a sbandati straccioni o comparse esotiche. *…+Dunque perché non farla finita e scegliersi un oggetto di studio meno deperibile, come appunto sono i turisti? I turisti sono sani, parlano quasi tutti l’inglese, sono un popolo in crescita vertiginosa.*…+ La cosa importante è che ormai sono un vero popolo. (G. Celati, 1998) Nel 1963 viene pubblicato lo studio di Nuñez7 riguardante le conseguenze dell’impatto socioculturale dei fine settimana dei turisti statunitensi su una comunità messicana. Questa pubblicazione rappresenta l’atto fondante dell’antropologia del turismo. Negli anni Settanta si arriva all’istituzionalizzazione della nuova disciplina attraverso la pubblicazione di due opere: "Host and Guest: The Anthropology of Tourism" (1978) della sociologa Valene Smith e "Tourism. Passport to development? Perspectives on the Social and Cultural Effects of tourism in Developing Countries" (1978) di De Kadt. Tuttavia solo dalla metà degli anni Ottanta si può assistere ad una reale e produttiva apertura dell’antropologia all’analisi del turismo, in seguito all’influenza dei Cultural Studies e dei Post Colonial Studies8. A partire dall’eredità di questi studi, l’approccio antropologico all’analisi del turismo ha come novità - secondo S. Barberani9- la visione delle popolazioni investite dal turismo non più come soggetti passivi, ma come attori della relazione reciproca tra host e guest. I turisti sicuramente agiscono sui locali, ma anche i locali trovano nel turismo un modo per ridefinire la propria identità. 7 T. Nuñez, "Tourism, Tradition and Acculturation. Weekendismo in a Mexican Village", Southwestern Journal Anthropology, 1963, 34, pp. 328-336. 8 In particolare i cultural studies e i post colonial studies favoriscono un’apertura dell’antropologia al dibattito sul turismo per la natura stessa dei temi che trattano: gli uni, particolare indirizzo di studi sociali, si applicano con metodo quasi etnografico allo studio della produzione dei mass media e al consumo di comunicazione di massa, per arrivare poi negli anni a toccare anche temi quali l’etnicità e il razzismo; gli altri mirano a produrre descrizioni del sistema mondo che esplicitino i rapporti di forza tra paesi, culture, strati sociali, generi, partecipando così al processo di ricostruzione identitaria, di riscatto dei soggetti subalterni e di indipendenza non solo politica. Come vedremo nel corso di questo lavoro tutte queste visioni e tematiche si ritrovano nel complesso panorama del turismo. 9 S. Barberani "Antropologia e turismo. Scambi e complicità culturali nell’area mediterranea.", A. Guerini e Associati, Roma 2006, pp. 39-42. Autore Sara Rizzi 13 Come afferma Simonicca, l’esigenza di un’antropologia del turismo non deriva solamente da una ricca corrente di studi, ma dal fatto che «la sua estensione mondiale e il tipo di effetti indotti impongono di esplicitare una visuale che colga del fenomeno i suoi complessi e interrelati intrecci tra due componenti essenziali: il movente psico-sociale che induce il visitatore a lasciare il proprio luogo di residenza, e i processi messi in atto nella circolazione di uomini, immagini, servizi, redditi ed idee.»10. 10 A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pag. 11. 11 A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pp. 11-12. Nella riflessione di Simonicca rintracciamo l’idea del turismo come realtà complessa ed interrelata, multidisciplinare e multi effetto. Il turismo si configura come momento privilegiato di incontro e scontro fra culture diverse, fra "ospitati" ed "ospitanti". Tutto questo lo lega inevitabilmente al "mutamento culturale", di cui appare come effetto, ma al tempo stesso come motore trainante. Seguendo la riflessione di Simonicca
Iniziamo la nostra analisi individuando tre approcci antropologici principali allo studio del fenomeno turistico: il polo degli
Il rapporto
11, l’antropologia del turismo permette di riflettere sia sui cambiamenti culturali che sull’auto rappresentazione del sé, entrambi temi tipici della disciplina. Da queste premesse possiamo già intuire alcune delle problematiche che svilupperemo nei capitoli successivi riguardo il turismo. Il dibattito infatti è molto accesso a livello multidisciplinare riguardo le caratteristiche e le conseguenze positive e negative del turismo e di alcuni tipi di turismo in particolare. host, come analisi delle trasformazioni indotte sulla comunità di ricezione; il polo dei guest, come analisi delle strutture cognitive del visitatore e delle motivazioni turistiche; il rapporto host-guest, come analisi dello spazio e delle relazioni tra i due poli. host-guest va ad identificare la riflessione di Simonicca citata precedentemente. Esso infatti si configura come gioco costante di scambio, di incontro, di superamento reciproco e momentaneo delle barriere identitarie e culturali tra visitatori e visitati. Questo Autore Sara Rizzi 14 rapporto porta all’incontro tra due immaginari, quello turistico e quello locale, entrambi ricchi di immagini e stereotipi (Barberani, 2004).
Coloro che si sono concentrati sull’analisi degli
Coloro che concentrano la propria attenzione sui
Van Gennep (1981) sostiene che quando un individuo si trova nel proprio ambiente abituale, a casa o nel proprio clan, vive la dimensione profana; quando invece si trova in un contesto nuovo e altro rispetto al proprio quotidiano, vive nella dimensione del sacro.
Riguardo il polo dei
Fino a qualche anno fa l’attenzione antropologica si è concentrata sullo studio delle trasformazioni delle arti locali, seguendo un’accezione "espressiva" della cultura, e sui processi di mutamento sociale, sulla trasformazione di pratiche, valori e comportamenti indotti dal turismo (Simonicca, 1997). Questa vocazione - ritiene Simonicca - generalmente legata a contesti extra-europei, rispondeva alle esigenze di una disciplina impegnata nello studio di culture altre rispetto a quella occidentale. Il turismo offriva allora un luogo Autore Sara Rizzi 15
host hanno posto attenzione alle conseguenze dello sviluppo turistico sulle comunità locali (cambiamento dei rapporti di potere o di genere, cambiamenti delle strutture sociali ed economiche, ecc.). Questo approccio si basa sulla dicotomia tra turismo come motore di sviluppo o «passaporto per lo sviluppo» - come sostiene De Kadt (1978) - e turismo invece come elemento centrale delle differenze sociali tra visitati e visitatori. Questa contrapposizione di natura socio-economica formulata nel contesto degli studi sociali, ha portato gli antropologi del turismo a distinguersi tra chi considera il fenomeno come spinta verso la modernizzazione, lo sviluppo, l’attivismo artistico e culturale, e chi invece lo considera strumento di degradazione e commercializzazione della cultura ospitante, una sorta di neocolonialismo (Barberani, 2006; Simonicca, 2004). Da qui derivano a loro volta le riflessioni sul concetto di riproduzione, di autenticità, di commercializzazione culturale che approfondiremo successivamente. guest, infine, analizzano l’agire turistico. La base di partenza è di derivazione durkheimiana: l’esistenza di una dicotomia tra sacro (l’altrove, il diverso a livello spaziale e temporale) e profano (il quotidiano). guest si sono sviluppate diverse teorie riguardanti differenti opposizioni: lavoro e tempo libero, identità quotidiana ed identità di viaggio, routine e atemporalità del viaggio (Barberani, 2004; Simonicca, 2006). Secondo John Urry la dicotomia di base dalla quale risulta il turismo è tra l’ordinario, il quotidiano e lo straordinario (Urry, 2005). privilegiato dal quale osservare i processi di trasformazione di gruppi culturali stretti tra estinzione e innovamento (Simonicca, 1997).
Gli studi sulle modalità di trasformazione sociale si sono serviti spesso di due prospettive teoriche: il modello americano di "acculturazione" e il modello inglese del "contatto" o del "mutamento culturale". Per il primo modello si tratta di identificare gli aspetti innovativi e creativi dell’incontro e scontro fra sistemi di credenze e valori differenti. Per il secondo modello si insiste sulle linee di confine con attenzione ai particolari soggetti protagonisti della mediazione, agli agenti attivi del mutamento, al fattore tempo e all’analisi comportamentale (Simonicca, 1997; Barberani, 2004). Entrambi i modelli negli studi antropologici odierni riguardo il turismo come problema decisamente emergente, tendono verso reciproche contaminazioni e tendono ad avere posizioni non dicotomiche (Simonica, 1997; Graburn, 1995; Nash, 1995).
Il turismo dunque si configura come un fenomeno sociale mondiale multi effetto. L’antropologia si trova inevitabilmente interessata all’analisi di questo fenomeno poiché esso ha in sé temi classici della disciplina quali il viaggio, l’alterità, l’osservatore, la scrittura, lo sguardo straniero.
Autore Sara Rizzi 16 1.2 Definizioni e interpretazioni di turismo Il viaggio impossibile è quello che noi non faremo mai più, quello che avrebbe potuto farci scoprire paesaggi nuovi e altri uomini, che avrebbe potuto aprirci lo spazio degli incontri. (M. Augé, 1997) Secondo la definizione formulata dal World Tourist Organisation (WTO) il turismo è «l'attività di coloro che viaggiano , e soggiornano in luoghi diversi dal proprio ambiente abituale per un periodo non superiore ad un anno consecutivo per svago, lavoro e motivi diversi dall’esercizio di un’attività remunerativa all’interno dell’ambiente visitato». Il turista pertanto è colui che si reca in un altro luogo per interessi personali o che vi viene inviato (ad esempio da una società) senza ricoprirvi alcun posto di lavoro. La base da cui partire per definire il turismo odierno può essere quella di attività svolta nel tempo libero. Deriva dalle teorie sociologiche del "tempo libero" (
La sociologa Valene Smith definisce il turista come «una persona che può disporre temporaneamente del suo tempo, che visita per sua scelta un luogo lontano da casa, allo scopo di fare l’esperienza di un mutamento»
leisure), che definiscono il turismo proprio come prodotto e conseguenza del tempo libero creato dalla società moderna ed investito in attività ricreative e piacevoli per la persona. La ricerca antropologica sul fenomeno turistico ha messo in luce la forte componente della dimensione esperienziale, la quale ha indotto ad un confronto con altri settori di studio interessati all’analisi del fenomeno, in particolare la psicologia sociale e le teorie del leisure. 12. Il bisogno di mutamento, che trova origine e soddisfazione nelle situazioni di viaggio, è una delle motivazioni fondamentali del turista che Valene Smith individua (Leed, 1992). Ella definisce inoltre il turismo come «forma di attività di tempo libero che struttura il corso individuale della vita grazie a periodi alterni di lavoro e relax»13. 12 V. Smith, 1977, pag. 2. Citato in Leed E. J., "La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale", Il Mulino, Bologna, 1992, pag. 353. 13 V. Smith, 1978, pp. 3-4. Citato in A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pag. 16. [continua] Autore Sara Rizzi 17 14 Citato in A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pp. 14-16. Vedremo ora solamente alcune delle principali teorie riguardo il fenomeno turistico e come ciascuna si inserisce nel dibattito antropologico. Nel tempo queste teorie si sono sviluppate e spesso si sono trovate a sovrapporsi o ad accostarsi all’interno dell’analisi di un fenomeno tanto ampio e complesso. Consci della loro vastità, delle loro numerose rielaborazioni, adattamenti ed approfondimenti, ci limiteremo in questa sede ad accennarne solamente alcune tra le più note ed attinenti al nostro studio. 1.2.1 Visione transazionale Nash (1978; 1981; 1995)
Nella visione transazionale del turismo che Nash sostiene, la parte essenziale è data dalla produzione di turisti e quindi di tempo libero da parte della società. Essa producendo tempo libero produce anche turisti che usufruiscono del proprio tempo libero e delle offerte turistiche (Simonicca, 2007). Secondo Nash il punto di vista antropologico è decisamente utile per l’analisi del processo turistico, poiché questo si basa sull’intersezione storico-sociale tra due o più culture. Il processo include la generazione di turisti, il viaggio e l’incontro con una società ospitante. Da qui derivano transazioni fra turisti, agenzie e ospitanti, che influiscono sempre e comunque sulla popolazione locale. Il sistema turistico può avere un’evoluzione soggetta a più forze, non solo quelle della culture interessate nell’incontro, ma anche quelle dei flussi economici e sociali più vasti (Simonicca, 2007). Autore Sara Rizzi 18
14, seguendo Valene Smith, sviluppa la propria tesi secondo un approccio derivante dalle teorie sociologiche del leisure. Egli punta sulla distinzione tra coloro che fuori dalla routine lavorativa sfruttano il proprio tempo libero attraverso i servizi offerti dall’industria turistica, e coloro che lavorando rendono possibile l’offerta turistica. Il turismo consisterebbe in una serie di transazioni tra l’ospitante (host) e l’ospitato (guest). Il turista sarebbe allora colui che viaggia all’interno del proprio tempo libero, e turismo sarebbe la corrispettiva attività. Si diventa turisti quando si lascia la propria routine, liberi dalle costrizioni primarie della vita e si cercano esperienze diverse e gratificanti (Simonicca, 1997). 1.2.2 Approccio strutturale Secondo l’approccio strutturale rappresentato da Nelson Graburn (1978; 1983)15, invece, non basta definire il modo in cui le società generano relazioni di scambio entro specifici contesti sociali. Per l’approccio transazionale il nucleo del fenomeno turistico risiede nella nascita storico-sociale del tempo libero. Esso rappresenterebbe quel surplus di tempo che permetterebbe il viaggio e l’incontro. L’approccio strutturale al contrario sostiene che la nostra concezione di turismo sia recente e figlia dell’occidente industrializzato. Il non-lavoro è visto come ricreazione e il viaggio ha sempre almeno una parte di tensione verso il ludico. Nella società moderna l’obbligatorio si lega al quotidiano, mentre il viaggio è un momento di svago voluto e lontano dalla quotidianità. La dicotomia che ne deriva è casa-lavoro opposti a lontananza-relax. Se il turismo può essere analizzato in opposizione al suo termine complementare, la vita quotidiana, esso è allora – secondo Graburn – indubbiamente terreno fertile per l’analisi antropologica, poiché è riconducibile ad uno dei temi cardine dell’analisi antropologica novecentesca: il concetto di "sacro" e l’opposizione sacro-profano secondo le definizioni di Durkheim (1963) e le riletture di Marcel Mauss, Arnold van Gennep ed Edmund Leach. 15 Citato in A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pp. 16-21. 16 N.H.H. Graburn, "Tourism. The Sacred Journey". Citato in V. Smith (a cura di), "Host and Guest", pp. 21-36. Secondo Graburn il partire porta sempre con sé stati di agitazione, eccitazione, nervosismo, poiché si lascia la vita ordinaria per qualcosa di parzialmente sconosciuto. Chi parte non è certo di tornare. Il turismo starebbe – secondo Graburn – alla nostra società come il rituale stava a quella antica: avrebbe il compito di spezzare la routine laica con un evento sacro16. D’altro canto anche il tornare crea questa sensazione, poiché si fa ritorno a una vita abbandonata per un certo periodo e si lascia invece un periodo di divertimento. Riprendere il proprio ruolo precedente risulta una sorta di culture shock (Furnham, 1984). Si passa dunque da uno stato all’altro, proprio come nei riti di passaggio (Simonicca, 1997). 1.2.3 Turismo come rito di passaggio La categoria di "rito di passaggio" fu coniata dall’antropologo Arnold Van Gennep per indicare cerimonie e riti che identificano pubblicamente il passaggio da una condizione Autore Sara Rizzi 19 sociale ad un’altra. Strategia che accomuna tutte le società e tutti i tempi, il rito di passaggio cerca di agevolare, semplificare o marcare un determinato mutamento di condizione personale o sociale. Esso consta di diverse fasi: - separazione: perdita dello status precedente e allontanamento dalla società o dalla vita quotidiana; - margine: ingresso in un periodo liminale, ambiguo. L’individuo è in uno stato di sospensione poiché non possiede più lo status precedente ma non ancora quello nuovo; - aggregazione
L’esperienza turistica seguirebbe proprio queste fasi, rintracciabili nella partenza (separazione), nel soggiorno in loco (margine) e nel ritorno (aggregazione). La sua natura provvisoria e ripetitiva va a sostenere l’analogia tra turismo e rituale. Il turismo appare come una forma di rottura temporanea con la vita quotidiana, per entrare in uno stato "di sospensione", in un diverso stato mentale.
L’ambivalenza del sacro – sostiene van Gennep – sta proprio nel ruolo che esso svolge di definizione dello spazio sociale dei passaggi di status: «Un individuo che viva a casa sua, nel suo clan, vive nella dimensione profana; vive invece nel sacro da quando se ne va e si trova come straniero, in prossimità di un luogo abitato da sconosciuti»
: ritorno nella società con diversi riti per ufficializzare il nuovo status acquisito. 17. Durante il periodo "di vacanza", che possiamo identificare come il margine di van Gennep, il turista acquista anche un’identità provvisoria, si separa dal mondo profano anche in modo visibile, attraverso la semplicità e l’informalità dei comportamenti e dell’abbigliamento, attraverso la rilassatezza dei modi e dei costumi (De Kadt, 1979; Garrone, 1993; Aime, 2005). 17 A. van Gennep, "I riti di passaggio", Bollati Boringhieri, 1981, pag. 12. Attraverso l’analisi di interviste nei capitoli successivi, vedremo come questa identità provvisoria, questo "limbo vacanziero", si rifletta anche nei modi di fare e di relazionarsi con gli host da parte dei guest. Il turista si sente spesso, da un lato in pericolo e diventa quindi molto apprensivo o teso poiché è fuori dal suo vivere abituale, dall’altro invece legittimato a Autore Sara Rizzi 20 comportarsi in modo inusuale o discutibile proprio perché fuori dal suo formale contesto abitudinario18. 18 Anche secondo De Kadt «i turisti in vacanza normalmente fanno sfoggio di standard di vita considerevolmente più alti di quello che adottano durante il resto dell’anno, proiettando un’immagine distorta della propria società» (De Kadt, 1979). Garrone propone una critica sul frequente atteggiamento irrispettoso del turista. Ci si scandalizza per atteggiamenti ed abbigliamenti poco consoni nelle piazze o chiese di Roma, ma non ci si scompone per atteggiamenti degli occidentali nel Sud del Mondo che spesso risultano veri e propri schiaffi ai costumi locali: «Implicito nel suo subconscio (dell’occidentale medio) è un razzismo latente che lo spinge a ritenere gli ospitanti non in grado né in diritto di giudicare o stimare il suo comportamento» (Maurer, 1981). Cit. in Garrone, 1993, pp. 79-80. 1.3 Il turismo come fenomeno globale Viaggiare significa dimenticare, accettare di "glissare" sulla estensione del mondo. (F. La Cecla, 2002) Negli ultimi Cinquant’anni il turismo si è mostrato come una delle principali macchine dello sviluppo planetario (Garrone, 1993; Battilani, 2003; Calandra, 2007; Turco e Calandra, 2007). Da un fenomeno d’élite nell’antichità e ancora d’élite durante la fase del turismo "moderno" sorto in Gran Bretagna e legato alle terme, è diventato, a partire dagli anni Sessanta circa del Novecento, un fenomeno di massa. Esso si è infatti trasformato in seguito alla ripresa economica che ha investito l’intera Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale (Battilani, 2003; Simonicca, 2004; Calandra e Turco, 2007). Secondo Patrizia Battilani si può notare come la crescita del turismo, che si era mantenuta lenta fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale in seguito a crisi economiche, situazione politica poco stabile in tutta Europa e nel resto del mondo, esplose invece in seguito al termine del conflitto. Questa situazione fu favorita da un nuovo e crescente clima di collaborazione fra Stati che portò a una generale stabilità internazionale. Fu favorita inoltre da un’eccezionale crescita economica dei maggiori Paesi industrializzati (Europa, USA e Giappone), dall’aumento del Autore Sara Rizzi 21 tempo libero in seguito a differenti condizioni lavorative e da una serie di innovazioni tecnologiche. Una precisazione importante – sostiene Battilani – riguarda il diritto alle ferie retribuite esteso a tutti i dipendenti in quasi tutti i Paesi occidentali nel periodo a cavallo tra le due guerre. La durata delle ferie venne poi progressivamente aumentata, tanto che negli anni Sessanta questo permise anche alla fascia sociale medio-bassa di recarsi in vacanza (Battilani, 2003).
Non si può far a meno di soffermarsi sullo sviluppo del turismo internazionale dettato dalle innovazioni tecnologiche a livello dei trasporti. Se il treno fu il simbolo del turismo ottocentesco d’
élite, automobile e aereo rappresentano il turismo di massa (Battilani, 2003). Già nel 1927 Thomas Cook19, il primo tour operator della storia, prenotò dei posti in aereo per un viaggio organizzato. Come sostiene Franco La Cecla, oggi possiamo permetterci spostamenti lunghissimi in pochissimo tempo, ma questa non è un’operazione neutra: 19 Thomas Cook fu il primo ad occuparsi dell’organizzazione di viaggi nell’epoca del turismo moderno, a partire dal 1840 circa. Iniziò con piccoli viaggi nel territorio inglese. La sua idea era quella di proporre escursioni come momento formativo in grado di sconfiggere anche i comportamenti devianti ed in particolare l’alcolismo che imperversava in quegli anni in Gran Bretagna. Da qui poi si sviluppò un’impresa specializzata nell’organizzazione di viaggi (Battilani, 2003). 20 F. La Cecla, "Jet-lag. Antropologia e altri disturbi da viaggio", Bollati Boringhieri, 2002, pag. 19. «Non siamo l’aereo e non abbiamo la sua velocità anche se vi stiamo dentro. Il tempo di spostamento dell’aereo è possibile solo grazie all’oblio della geografia, dello spazio intermedio tra un posto e l’altro che volutamente ignoriamo. Lo spostamento è il risultato della cancellazione dell’immensità di particolari geografici che stanno in mezzo a due punti da connettere.»20 Nel corso degli anni il turismo si è spostato sempre più verso luoghi lontani. Oggi in una decina di ore ci si può trovare catapultati dal centro dell’Europa all’Africa meridionale. La velocità e la comodità dei nuovi mezzi di trasporto hanno favorito lo sviluppo del turismo anche in zone del mondo assai lontane rispetto all’Occidente. La nuova tecnologia, unita al momento totalmente ottimistico del turismo nel dopoguerra - spinto da tutti i fronti come modalità di ripresa economica e di sviluppo socio-economico per i "Paesi in via di sviluppo" -, Autore Sara Rizzi 22 ha fatto sì che dagli anni Cinquanta si intravedesse lo sviluppo del turismo anche nel "Terzo Mondo21" (Garrone, 1993). 21 È bene ricordare che anche questi termini per indicare i Paesi del Sud del Mondo sono stati a lungo discussi ed analizzati. Secondo Gustavo Esteva il termine "Paesi in via di sviluppo" acquista enfasi ed importanza mondiale il 20 gennaio 1949 all’interno del discorso del Presidente degli USA Truman. Da quel giorno -afferma Esteva- due miliardi di persone divennero sottosviluppati (rispetto agli USA). Da allora lo sviluppo ha significato sfuggire alla condizione priva di dignità chiamata sottosviluppo. Cit. in W. Sachs, "Dizionario dello Sviluppo", EGA Edizioni Gruppo Abele, 2004. Per quanto riguarda il termine "Terzo Mondo", esso fu usato per la prima volta dall’economista e sociologo Alfred Sauvy nel 1952 in un articolo. Egli si riferiva a quei Paesi "non allineati" che rimanevano fuori dai due blocchi, sovietico e americano, della Guerra Fredda. Il termine entrò poi nel linguaggio internazionale politico con la Conferenza di Bandung del 1955 per distinguere i Paesi in via di sviluppo da quelli ad economia di mercato o centralizzata. Il "Terzo Mondo" comprendeva per lo più Paesi ex-colonie africane o asiatiche situate nel Sud del Mondo (Rist, 1997). Sebbene questi termini siano ancora al centro di un ampio dibattito, verranno da noi utilizzati per indicare quei Paesi del Sud del Mondo generalmente con alti indici di povertà o comunque "poveri" nell’immaginario comune. 22 Garrone (1993, pp. 80-83) ci ricorda che spesso il turista proietta durante la vacanza una falsa immagine di sé. I locali non distinguono all’interno di un gruppo di turisti occidentali i diversi strati sociali che lo compongono, ma vedono che tutti beneficiano delle stesse attrazioni. Per gli host il gruppo simboleggia l’agiatezza occidentale: i turisti occidentali sono tutti ugualmente ricchi e hanno tutti le stesse costose abitudini. Ne consegue una falsa impressione dell’intera società occidentale. Sul piano internazionale a dettare i ritmi di crescita, per spesa turistica e volume di viaggio è stata ed è comunque l’Europa, seguita dagli USA.
Uno dei dibattiti intorno al turismo riguarda proprio la consapevolezza che i rapporti tra visitati e visitatori sono spesso assai diversi. C’è chi può viaggiare e chi può solamente essere visitato (Aime, 2005; Garrone, 1993)
Nel sottocapitolo 1.4 avremo modo di affrontare l’analisi e la discussione dell’aggettivo "etico" riferito al turismo. Valuteremo se la grossa disparità economica che si verifica spesso tra visitati e visitatori non sia di fatto una barriera che tende ad ostacolare un "reale incontro", ammesso che questo sia effettivamente possibile.
Nel 1977 Nash descrive il turismo come una forma d’imperialismo, cioè l’espansione oltre confine degli interessi, di qualsiasi tipo, di un gruppo sociale. Le nazioni che grazie ad un’alta produttività generano turisti, espandono i propri interessi nel territorio di altre società dove si presentano caratteristiche atte a soddisfare i bisogni dei viaggiatori. Altra obiezione arriva Autore Sara Rizzi 23
22. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo i Paesi in via di sviluppo ospitano il 23% degli arrivi turistici internazionali e una percentuale analoga guadagnano dal mercato turistico in valuta. Inoltre, secondo dati del Tourism Concern, nel 1992 l’80% di tutti i viaggi internazionali era compiuto da cittadini di sole 20 nazionalità (Garrone, 1993). da De Souza, segretario della Coalizione ecumenica per il turismo nel Terzo Mondo: «Il modo in cui il turismo è organizzato è neocolonialismo. Voi avete il diritto allo svago e il denaro per concedervelo, noi no, e la nostra dipendenza economica da questa risorsa fa sì che i turisti debbano essere trattati come dèi.»23. 23 Citato in M. Aime "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 13.
24
Urbain J.-D., "L’idiota in viaggio. Storia e difesa del turista", Aporie, Roma, 2003. In particolare si veda il capitolo 6, pp. 89-98. Urbain spiega la sua scelta del titolo: si rifà all’origine latina del termine, cioè idiota o idiotes, che significa "uomo che non ha conoscenza, ignorante". L’idiota è dunque in origine l’inesperto, non l’imbecille. Egli sostiene che "è con questo significato che bisogna anche, all’occorrenza, capire la parola del titolo" (pag. 6). 25 Per un approfondimento riguardo i concetti di immaginario turistico, immaginario vacanziero e marketing operato dall’industria turistica, si veda il sottocapitolo 2.1. 26 M. Aime "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pp. 13-47. Ancora una volta torna il tema della disparità tra ospitato ed ospitante, ancora un volta il termine "turista" viene usato con accezione negativa. Questa negatività legata al turista viene analizzata da Urbain (2003)
Marco Aime
Nel 1975 nasce l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), a dimostrazione dell’importanza ormai globale assunta dal fenomeno turistico. Garrone (1993) sostiene che nei primi documenti dell’OMT non ci fosse ombra alcuna di critica o discussione riguardo i meccanismi di ineguale distribuzione delle ricchezze. Nel 1967, ancor prima della nascita Autore Sara Rizzi 24
24, il quale parla di «disprezzo paradossale», cioè quello che il turista porta a se stesso. Tale disprezzo non è sfuggito all’industria turistica che spesso basa la propria promozione proprio sul discorso antituristico. Si conquista un cliente – sostiene Urbain – facendolo viaggiare ma promettendogli una forma diversa e superiore di peregrinazione, fuori dalla massa e dallo stereotipo vacanziero25 (Urbain, 2003). 26 si interroga proprio sul perché negli ultimi anni il termine turismo si sia fatto accompagnare da una serie di aggettivi come sostenibile, etico e responsabile. Seguendo in parte la riflessione di Urbain, egli ritiene che queste qualifiche aggiuntive siano date per un disagio o un senso di colpa avvertito da chi viaggia per puro diletto, soprattutto nei Paesi del cosiddetto Sud del mondo. Già a partire dagli anni Sessanta nei Paesi del Nord Europa si svilupparono movimenti che cercavano di strappare il turismo ai circuiti commerciali dominanti, denunciando l’eccessivo impatto socio-economico sulle mete di destinazione. Molte ONG ed associazioni cattoliche iniziarono a redigere codici etici per indicare come comportarsi in determinate destinazioni (Aime, 2005). dell’OMT, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) lanciò il primo "anno internazionale del turismo" nel quadro degli sforzi internazionali per lo sviluppo. In questo clima ottimistico verso il turismo, molti Paesi del Terzo Mondo, tra cui certamente l’Africa, si lanciarono in questo mercato senza alcuna misura di protezione contro l’impatto ambientale e culturale di questa attività.
Secondo Calandra e Turco
27 dal 1990 il flusso turistico nel continente africano è andato aumentando, passando dal 3% al 6%. Oggi si aprono nuove possibilità per il turismo africano in seguito ai segnali di stanchezza o saturazione manifestati dai tradizionali magneti del turismo mondiale. Si ritiene che alle tradizionali destinazioni attrattive si senta il bisogno di aggiungerne altre, connotate a livello naturale, artistico ed antropologico. A questo riguardo l’Africa può mobilitare risorse culturali, umane e naturali enormi. Queste affermazioni sono confermate dalle elaborazioni dell’Osservatorio Nazionale sul Turismo Italiano (ONT) su dati della World Tourism Organization (UNWTO). Nelle economie avanzate28 - come si può notare in Figura 1 - si è passati dai 423 milioni di arrivi del 2000 ai 470 milioni del 2009, con un incremento pari a 11,1 punti percentuali. Molto più rapida è stata la crescita del turismo internazionale nelle economie emergenti: un aumento del 58,3% che ha portato il numero di arrivi nel periodo tra il 2000 e il 2009 da 259 a 410 milioni29. Anche il World Travel & Tourism Council (WTTC) prevede per il periodo 2006-2015 un incremento della domanda turistica in Africa (5,7% annuale) superiore a quello mondiale (4,6% annuale)30. Come si può osservare nella Figura 2, seppur con lievi scarti percentuali, le Americhe e l’Europa perdono punti, mentre Medio Oriente, Asia e Pacifico e Africa hanno ogni anno un numero di arrivi maggiore. 27 Calandra L. M., Turco A., "Atlante del turismo sostenibile in Africa", Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 16-17. 28 La distinzione tra economie avanzate ed economie emergenti adottata dalla UNWTO è quella adoperata dal Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook di aprile 2010. Per una lista dei paesi appartenenti alle due categorie: www.imf.org. 29 ONT, "Le tendenze del turismo internazionale negli ultimi dieci anni", Luglio 2010.
30
Dati da "The 2005 Travel & Tourism Economic Research", 2005, consultabile online all’indirizzo www.ettc.org. Citato in Calandra L.M., "Per un Atlante del Turismo Sostenibile in Africa", Working Paper n. 23, Centro Città del Terzo Mondo, Politecico di Torino, 2007, pag.14. Autore Sara Rizzi 25 Figura 1: Andamento degli arrivi internazionali negli anni 2000, 2005, 2009 e variazioni percentuali 2000-2009. Da "La tendenze del turismo internazionale negli ultimi dieci anni", ONT, luglio 2010 (Elaborazioni ONT su dati UNWTO). Figura 2: Arrivi internazionali, quote percentuali per macro-aree. Da "La tendenze del turismo internazionale negli ultimi dieci anni", ONT, luglio 2010 (Elaborazioni ONT su dati UNWTO) Autore Sara Rizzi 26 1.4 Turismi e aggettivi Alternativo, dunque, è un concetto delle società del nord *…+. Noi possiamo viaggiare, loro no. Noi abbiamo diritto allo svago, loro no. (Garrone, 1993) Proporremo in questa parte una breve riflessione all’interno dell’ampio dibattito che ruota intorno al turismo "alternativo" e al concetto di "sviluppo" legato all’industria turistica. Questo servirà come base per avviare successivamente una riflessione su alcune modalità di sviluppo locale legato al turismo attivate in particolare in Namibia e basate sul
Il Governo namibiano, così come i Governi di diversi Paesi dell’Africa australe, hanno un target turistico molto ristretto, d’
Nel 1970 in Germania si tiene la prima consultazione internazionale sul turismo alternativo. Quest’ultimo si genera in opposizione al turismo classico ricalcando le critiche a un certo tipo di sviluppo economico, infatti gli aggettivi che accompagnano spesso il termine turismo sono gli stessi del termine sviluppo
community-based tourism. elìte e tentano di distanziarsi dal turismo di massa sia per una questione necessaria di conservazione di un ambiente ed ecosistema molto fragile, sia per una questione economica. Iniziamo dunque con un breve cenno storico ai movimenti legati al turismo alternativo. 31 (Aime, 2005; Garrone 1993). Le prime critiche al fenomeno turistico provenivano principalmente da tre ambienti: 31 Per approfondimenti si veda Garrone, 1993; Aime, 2005, pp. 13-22. - i movimenti giovanili alternativi, che credevano nel pacifismo, nell’ambientalismo (in contrapposizione al consumismo e al capitalismo) e volevano viaggiare in maniera ecologicamente sostenibile e solidale verso le società di accoglienza;
- le Chiese cristiane, che cercavano di coordinare le proteste anti-turistiche provenienti dagli abitanti del "Terzo Mondo";
- gli antropologi, che denunciavano il turismo in quanto fonte di profitti per i soli capitalisti occidentali, incentivo alla repressione poliziesca, alla prostituzione, alla mendicità, all’abbandono scolastico, alla commercializzazione dei rapporti sociali, con conseguente Autore Sara Rizzi 27
deterioramento delle strutture e dei valori tradizionali e frustrazione da parte degli abitanti locali.
Garrone (1993) ricorda come nella dichiarazione finale del primo seminario sul turismo alternativo indetto nel 1984 in Thailandia dalla
Perché esista il turismo, sostiene Valene Smith, occorrono tre elementi essenziali: tempo libero; entrate discrezionali (cioè non per forza utilizzate per soddisfare i bisogni primari); approvazione sociale
Ecumenical Coalition for Third World Tourism, comparisse a ragione lo slogan «Il turismo alternativo è nell’agenda del nord, non del sud del mondo». Alternativo è dunque - secondo Garrone – un concetto delle società del nord, mentre nel sud del mondo è compreso e utilizzato solamente dagli intellettuali. 32. Queste caratteristiche possono essere soddisfatte solamente dalla società occidentale e di questa, solamente da alcuni strati. Questo vale anche per il turismo alternativo e responsabile che, seppur in espansione, è ancora un fenomeno di nicchia. Il turismo responsabile non è fuori dal mercato, è una sua componente che cerca di moralizzarlo, ma senza uscirne del tutto. (Aime, 2005). Anche Simonicca riconosce come luogo d’origine del "turismo alternativo" i Paesi sviluppati del nord del mondo, ma ricorda anche che il dibattito intorno a questo argomento ha portato gli stessi antropologi negli anni Settanta alla sperimentazione di alcune esperienze-modello di turismo alternativo nel Terzo Mondo, come vedremo nei successivi paragrafi (Simonicca, 2004). 32 V. Smith (a cura di), "Host and Guest. The Anthropology of Tourism", The University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1989. Citato in M. Aime "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 44. 33 M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 172. «Più che creare una nuova sensibilità, il turismo responsabile fornisce ulteriori elementi per rafforzare un’identità diversa, per sentirsi parte di una comunità che si riconosce nei movimenti che lottano per un mondo alternativo e tentano di dare vita a nuovi equilibri. Tutto ciò è certamente positivo – sostiene Aime – , ma occorre allora riconoscere che i destinatari della ricaduta di questo percorso siamo noi, più che i nativi che andiamo a visitare. Si tratta di un percorso proposto e seguito da noi, insomma: un’altra idea del Nord per il Nord.»33. Autore Sara Rizzi 28 Commentando gli aggettivi che ultimamente accompagnano sempre il termine "turismo", ed in particolare "sostenibile", "etico" e "responsabile", Marco Aime34 propone di fare attenzione ai due piani di percezione e azione: "sostenibile" si rifà a considerazioni di natura quantitativa, mentre "etico" e "responsabile" fanno leva su un piano morale e quindi qualitativo. 34 M. Aime "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pp. 13-22. 35 La Carte per un Turismo Sostenibile fu firmata nell’aprile 1995 a Lanzarote all’interno della Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile. È stato uno dei primi documenti fondamentali a livello mondiale per l’analisi, lo studio e la ricerca di linee guida per il turismo sostenibile. 36 Citato in M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 16. Con il termine "sostenibile" i fautori di questo turismo alternativo a quello di massa intendono - secondo Aime - un tipo di turismo che non provochi effetti devastanti sull’ambiente che va a toccare ma produca un miglioramento economico nei contesti visitati. Il primo articolo della "Carta per un turismo sostenibile"35 redatta a Lanzarote nel 1995 recita: «Lo sviluppo del turismo deve essere basato sul criterio della sostenibilità, ciò significa che deve essere ecologicamente sostenibile nel lungo periodo, economicamente conveniente, eticamente e socialmente equo nei riguardi delle comunità locali. Lo sviluppo sostenibile è un processo guidato che prevede una gestione globale delle risorse per assicurarne la redditività, consentendo la salvaguardia del nostro capitale naturale e culturale. Il turismo, come potente strumento di sviluppo, può e dovrebbe partecipare attivamente alla strategia di sviluppo sostenibile. La caratteristica di una corretta gestione del turismo è che sia garantita la sostenibilità delle risorse dalle quali esso dipende.».36 Secondo Simonicca il turismo sostenibile è un costrutto culturale o un insieme di idee ispirate al concetto di "turismo ambientale" o "ecoturismo", formulato dalla sudamericana Elizabeth Boo (1990), Coordinatrice del Progetto di Ecoturismo del WWF (World Wildlife Fund). Il turismo sostenibile avrebbe diversi fini: creare e mantenere attività economiche efficaci, compreso il turismo, e conservare secondo livelli appropriati l’ambiente culturale e naturale (Simonicca, 2006). Autore Sara Rizzi 29 Il concetto di "sviluppo del turismo sostenibile" sarebbe stato coniato – secondo Simonicca – per assicurare che la conservazione dell’ambiente portasse anche a crescita o cambiamento. Il turismo sostenibile – ci ricorda ancora Simonicca – ha una storia lunga e complessa, rintracciabile addirittura nel Romanticismo, nell’interesse ottocentesco per la natura, per arrivare poi all’ecologismo radicale e all’istituzione e conservazione dei parchi naturali, per finire con i vari movimenti alternativi (Simonicca, 2006; Garrone, 1993).
Si possono rintracciare diverse interpretazioni riguardo la nascita di "formule" – come le chiama Lina Calandra - quali ecoturismo, turismo solidale e turismo responsabile. Secondo alcuni esse testimonierebbero la tendenza alla riconciliazione tra turismo e sostenibilità, come alternativa alla massificazione del turismo proposta dai grandi operatori e caricata di valenze negative (Calandra, 2007). Secondo letture più sociologiche, tra le quali facciamo rientrare anche la posizione di Aime proposta nel sottocapitolo 2.3, non si può escludere che l’enfasi sul turismo sostenibile sia generata da una necessità sociale di motivare o giustificare la pratica del turismo attraverso ragioni socialmente accettabili (Aime, 2005; Calandra, 2007). Secondo altri ancora, l’interesse verso forme di turismo "alternativo" sarebbe semplicemente dettato da esigenze di mercato di diversificare il prodotto turistico (Calandra, 2007).
Per quanto riguarda il concetto di turismo "etico", Aime (2005) si domanda se questo, soprattutto quando riferito ai Paesi del Terzo Mondo, possa realmente essere "etico", attribuendo a questa parola il significato "morale", che attiene cioè ad una correttezza profonda nei rapporti umani. Senza dilungarci troppo, ci basterà osservare che i piani sui quali si basa l’incontro
host-guest sono spesso talmente diversi da rendere impensabile un rapporto etico o paritario. Esiste infatti una profonda asimmetria che permette ad un turista di andare in Africa per diletto con un costoso biglietto aereo, mentre colui che lo ospita non può nemmeno andare dal suo villaggio alla capitale (Aime, 2005). Aime sostiene che spesso anche il turismo "etico-responsabile", se da un lato ribadisce la necessità di viaggiare in modo alternativo proprio per cercare di capire meglio i problemi del Sud del mondo, dall’altro lato non si pone mai l’accento sull’impatto che il semplice arrivo del turista può avere sui locali e sulla loro realtà. I turisti, responsabili e non, non si accorgono di portarsi inevitabilmente dietro la propria immagine di uomo occidentale giunto in un Paese del Sud Autore Sara Rizzi 30 del mondo. Ai nativi egli appare come ricco a prescindere dalle sue reali possibilità e anche tirchio. Un «portafoglio ambulante» come lo descrive van Beek. Deduciamo da queste considerazioni che essendo l’incontro con l’altro e il turismo uno scambio tra culture diverse, anche gli stereotipi sono vicendevoli.
Parlando invece di "responsabilità" ci si trova di fronte all’equivoco dell’attribuzione, sostiene Aime. Essa è infatti una questione individuale. L’attenzione per le problematiche dei luoghi visitati porta a una maggiore presa di coscienza e ad una riflessione che spesso viene condivisa, ma è
In seguito all’analisi del dibattito ancora aperto e attivo riguardo le ricadute del turismo, le sue definizioni, le sue conseguenze sugli
Il "turismo ad interessi speciali" (Weiler, Hall, 1992), derivante dall’emergere della soddisfazione come criterio principale della scelta della vacanza, ha come caratteristica l’orientamento verso l’esperienza, l’azione, l’avventura, la nostalgia, l’esotismo. Esso rientra nella grande classificazione del turismo alternativo.
in primis una rielaborazione personale, non si può chiedere ad una entità astratta come il turismo di essere responsabile. Inoltre spesso il fatto di essere in un luogo a discutere delle problematiche del luogo stesso, rappresenta una contraddizione di fondo. Il turista è là a domandarsi cosa fare per migliorare la situazione di taluni luoghi, grazie ad un sistema che talvolta è la causa principale di quei problemi (Aime, 2005). host e sui guest, nonché sul loro incontro, tenteremo ora di definire diversi tipi di turismi, indirizzati a varie attività particolari, denominati "turismo ad interessi speciali". «Il turismo ad interessi speciali basa la sua definizione sulle specifiche caratteristiche del viaggio, spesso definito come "etico", "appropriato" o "alternativo". In generale descrive un nuovo tipo di viaggio che verte su attività complesse di vita includenti un coinvolgimento attivo e consapevole da parte del visitatore, che si rapporta con l’ospitante per uno stile di incontro teso al rispetto e alla conservazione dell’ambiente naturale e socio-culturale locale. In questo senso è catalogabile come "turismo culturale", a ragione delle motivazioni non strumentali e per il desiderio di apprendere e fare esperienze piene nelle società ospitanti.»37. 37 M. Aime, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici.", Carocci Editore, Roma, 2004, pag. 156. Autore Sara Rizzi 31 Come possiamo vedere dalla definizione di Simonicca i concetti fin ora descritti tornano e s’intrecciano in questa nuova definizione. Per semplificare esponiamo le tipologie principali del turismo ad interessi speciali che Simonicca (2004) propone, derivanti dalle tipologie già avanzate da Smith e Graburn:
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Turismo educativo. Si rifà al Grand Tour settecentesco ed è principalmente un movimento educativo degli adulti. È generalmente il desiderio di novità e di conoscenza che spinge a questo viaggio e la guida, come insegnante-istruttore e fonte di informazione, ne è il momento fondamentale. Turismo artistico e dei patrimoni culturali. Può essere considerato come un sottosettore del turismo culturale. È motivato da interessi culturali, come manifestazioni artistiche, viaggi di studio, eventi folkloristici, arti o pellegrinaggi. Esso si alimenta con la nostalgia per il passato e sul desiderio di esperire paesaggi e forme culturali. Fan parte di questo tipo di turismo anche il turismo storico e il turismo delle tradizioni culturali locali. Turismo etnico. È il tipo di turismo sul quale maggiormente si è indirizzata l’attenzione antropologica. È alimentato dal desiderio di incontro con altre popolazioni, dalla ricerca di autenticità e dal tentativo di entrare nella vita reale di altre popolazioni38. Implicando l’esperienza diretta di contatto con un’altra cultura, questo turismo si distingue dal turismo culturale che implica invece una dimensione più indiretta e rappresentata delle altre culture. Uno studio dell’Organizzazione mondiale del turismo, "Tourism: 2020 Vision", conclude che il turismo culturale sarà una delle principali tendenze del nuovo secolo39. Turismo naturalistico. Si basa su un viaggio orientato verso la natura e che combini educazione, ricreazione ed avventura. Boo (1990), che studia i siti sudamericani, parla di "ecoturismo" poiché implica un viaggio in aree relativamente incontaminate per fini di studio, contemplazione, fruizione di flora e fauna selvagge ma anche di forme presenti di manifestazioni culturali. In ogni caso si collega all’osservazione 38 Nel capitolo successivo avremo modo di riflettere su termini e concetti quali "autenticità", "esperienza reale" e sul concetto di "verità" applicato a manifestazioni culturali di popoli altri.
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F. Michel, "Altrove, il settimo senso. Antropologia del viaggio.", MC Editrice, Milano, 2000, pag. 184. Autore Sara Rizzi 32  
della natura, produce un basso impatto ambientale e contribuisce in termini sociali ed economici alle finanze del sito
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40. Intorno a questo tipo di turismo ruotano altre definizioni. Alcuni lo definiscono "turismo etico o responsabile", "turismo verde", "turismo sostenibile" o è definito come sottoclasse del "turismo alternativo". In ogni caso questo tipo di turismo si impegna generalmente al rispetto del carico ambientale e sociale dei siti. Turismo di avventura, sport e salute. La motivazione comune di questi tre tipi di turismo è quella di migliorare la qualità individuale della vita. Il primo è legato al concetto di avventura e sfida (whitewater rafting, mountain-climbing). Il secondo si basa su di una motivazione alla competizione e alla pratica effettiva di attività sportive, dallo sci alle immersioni. Il terzo ha una lunga storia alle spalle derivante dalle stazioni di cura. Oggi si arricchisce per la presenza del viaggio e per il godimento delle risorse naturali di una regione. 40 Questo tipo di turismo è sviluppato in diversi paesi dell’Africa e sostenuto dai relativi Governi, come descritto nel Capitolo 3. 41 Garrone R., "Turismo responsabile. Nuovi paradigmi per viaggiare in terzo mondo", Ass. RAM, 1993, pp. 59-60. Per concludere e passare ad alcuni esempi chiarificatori, proponiamo una riflessione, da noi condivisa, di Garrone. Negli esempi di community conservation che proporremo nel sottocapitolo 2.3, ritroveremo molte delle condizioni che Garrone detta per un turismo che possa essere davvero sostenibile, al di là della tipologia di turismo attuata. «Davanti alla sacralità del profitto, nel sistema internazionale, nulla resiste. Ma un turismo davvero sostenibile può nascere solo da attuazioni radicali, diverse fin dall’inizio: in primo luogo da autogoverni degli interessati, da autogestioni di progetti turistici a basso impatto (soprattutto culturale) e in grado di stabilire rapporti "veri" tra visitatori e visitati.»41. Autore Sara Rizzi 33  
Capitolo 2 Sguardi, pratiche ed immaginario turistico 2.1 Lo sguardo e l’immaginario turistico Ci si inventa un paese ancor prima di esserci stati e si immaginano i suoi abitanti ancor prima di incontrarli. In definitiva, la magia del viaggio comincia ben oltre il semplice atto di allacciarsi le scarpe o di comprare il biglietto aereo. (F. Michel, 2000) Il turismo rappresenta oggi una delle principali industrie del pianeta e di conseguenza i turisti rappresentano una componente rilevante di quella rete di «flussi globali», come li definisce Arjun Appadurai, che mettono in movimento e in contatto persone e idee42. 42 A. Appadurai, "Modernità in polvere", Meltemi, Roma, 2002. Citato in M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pp. 48-49. 43 A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pag. 121. Il tema dell’immaginario turistico ha ricevuto particolare attenzione nello studio del turismo internazionale per l’estensione e l’importanza della promozione pubblicitaria di popolazioni e luoghi esotici, ma ha anche interessato il turismo "domestico" che vive di analoghe strategie di diffusione (Simonicca, 1997).
Simonicca
L’immaginario turistico non attiene solamente alla dinamica personale degli stati d’animo dei visitatori, ma mostra caratteristiche peculiari di produzione di senso che si oggettivano Autore Sara Rizzi 34
43 rintraccia i ruoli e l’importanza giocati dall’immagine del sito nel processo turistico: in primis determina a vari livelli la motivazione del viaggio; lo spazio turistico raggiunto è il tramite entro cui si svolge l’esperienza stessa, ponendosi come tramite del contatto culturale; infine si consolida o si muta nella ricezione dei visitatori al termine del viaggio, nella rielaborazione e nella riproposizione sociale della comunità del gruppo dei visitatori. negli assetti strutturali delle aree di destinazione e nelle auto attribuzioni identitarie delle culture ospitanti (Simonicca, 1997).
Urry (1988, 1990) vede nel turismo un’istituzione basata sullo "sguardo turistico" come pratica sistematizzata ed organizzata socialmente sia dai soggetti che dagli "esperti". In realtà Urry afferma che non esiste uno sguardo turistico in quanto tale, poiché esso è dipendente dal contesto sociale e storico.
Secondo la definizione data da Silvia Barberani
44, l’immaginario turistico può essere definito come un complesso di immagini, figure e simboli, che influiscono direttamente sulla scelta della destinazione turistica, creando nei visitatori un orizzonte d’attesa che si configura come griglia interpretativa dell’esperienza vissuta. Le immagini che vanno a costituire l’immaginario turistico del singolo, derivano da una componente oggettiva data da continue sollecitazioni visive, cioè immagini su depliant, siti internet, brochure, testi di viaggio e da una componente soggettiva, data dalle sensazioni personali, dalle attitudini, dalle immagini mentali, dalla rielaborazioni personale di racconti di viaggio (Barberani, 2006). Questa immagine pregressa che viene costruita inevitabilmente ancor prima di partire, ma anche prima di scegliere la destinazione di viaggio, funge da cuscinetto tra qui e l’altrove, tra il noto e l’ignoto, tra il sacro e il profano. Secondo Aime, ognuno di noi, come turista, vive la propria esperienza fin dal momento in cui la ipotizza, all’interno di un immaginario globalizzato che ci fornisce innumerevoli informazioni sulla meta futura. La scelta di una particolare meta è data dalle informazioni che già possediamo a riguardo. Il viaggio diventa sempre più la conferma di ciò che già conosciamo (Aime, 2005). Questo risulta particolarmente evidente – articola Aime – all’interno del turismo "etnico o esotico". Il turista infatti sa già ciò che vuole vedere e ciò fa sì che il nativo, l’altro, appaia ai suoi occhi simile a quello fotografato o descritto sulla guida o sul catalogo nonostante la realtà sia diversa (Aime, 2005). Allo stesso modo – sostiene Urbain – la teoria dello sguardo superficiale afferma che «il turista non va verso le cose ma verso l’immagine delle cose»45. A questo punto egli propone però una difesa dello sguardo del turista, lontano dai pregiudizi e dai moralismi. Chi può avere la 44 S. Barberani "Antropologia e turismo. Scambi e complicità culturali nell’area mediterranea.", A. Guerini e Associati, Roma 2006, pp. 213-215. 45 J. Paulhan, "Guide d’un petit voyage en Suisse", Paris, Gallimard, 1947, pag. 65. Citato in Urbain J.-D., "L’idiota in viaggio. Storia e difesa del turista", Aporie, Roma, 2003, pp. 86-87. Autore Sara Rizzi 35 verità riguardo una visione? Esiste un "giusto" sguardo? La recente e moderna moltiplicazione di sguardi turistici sul mondo, dettata da una maggiore e più ampia mobilità del tempo libero, potrebbe essere una buona soluzione per scartare ed impedire gli assoluti (Urbain, 2003). Il turismo potrebbe allora risultare una buona possibilità di conoscenza dell’altro nel momento in cui si riuscisse con esso ad instaurare un reale incontro e scambio di idee ed immagini lontane dai pregiudizi e dagli immaginari precostituiti.
Secondo Aime, la brevità dell’incontro tende ad "esoticizzare" l’altro, come fa ben notare questo brano di Italo Calvino:
«Nuovo del paese, sono ancora nella fase in cui tutto quel che vedo ha un valore proprio perché non so quale valore dargli. Basterebbe che mi fermassi un po’ in Giappone e certo per me diventerebbe un fatto normale che la gente si saluti con ripetuti profondi inchini, anche alla stazione; *…+ Quando tutto avrà trovato un ordine e un posto nella mia mente, comincerò a non trovare più nulla degno di nota, a non vedere più quello che vedo. Perché vedere vuol dire percepire delle differenze e appena le differenze si uniformano nel prevedibile quotidiano lo sguardo scorre su una superficie liscia e senza appigli.»46. 46 I. Calvino, "Collezione di sabbia", Mondadori, Milano, 1994, pag. 168.
47 Nostra intervista del 25 Luglio 2010 a Windhoek ad una coppia italiana in viaggio self drive con African Footprints Tour.
48 M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 55.
49 Si veda il sottocapitolo 1.3.
Nel corso della nostra ricerca sul campo abbiamo avuto modo di incontrare turisti sconvolti da alcune usanze della popolazione locale in zone remote della Namibia. Ricordiamo una coppia italiana sconvolta dalla presenza di parabole satellitari su alcune case nella zona nord-ovest della Namibia e dalla vendita di artigianato e oggetti vari proposta da alcuni himba in seguito alla visita di questi turisti nel loro villaggio
Questo concetto viene sfruttato dalla pubblicistica del turismo – come sottolineava Urbain riferendosi all’"antiturismo"
47. «In fondo – propone Aime – siamo ancora vittime di un evoluzionismo strisciante: più o meno inconsciamente, misuriamo le culture umane sulla base del loro presunto grado di distanza dalla natura.»48. 49 – dalla quale certe popolazioni sono descritte come molto vicine alla natura, accostando proprio immagini di individui ad immagini di fauna o flora Autore Sara Rizzi 36 (Aime, 2005). Spesso – sostiene Aime (2005) – anche l’ecoturismo o il turismo etnico rischiano di "zoologizzare" l’alterità locale con la quale il turista entra in contatto. La descrizione da parte della pubblicità turistica, sia essa responsabile o meno, di alcune popolazioni come "tradizionali", non implica il fatto che questi si considerino tali. Queste visioni da parte del turista, questa categorizzazione imposta all’altro, sono atteggiamenti consueti e spesso involontari. L’immaginario pregresso di ciascuno sull’Africa porta a queste reazioni, spesso involontarie, che si avvicinano ad una sorta di «etnocentrismo di senso comune» (Barbè, 2007).
Nel concetto di immaginario turistico si riscontra la centralità dell’immagine. Da quest’ultima parte l’immagine pregressa e spesso stereotipata che si ha sull’Altro.
A. Simonicca
50 ne propone una triplice interpretazione: 50 A. Simonicca, "Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti etnografici", Carocci Editore, Roma 1997, pp.121-123. - immagine come stereotipo: rivela il processo di costruzione dell’immagine turistica attraverso il suo rimando ad un sito e ad un particolare gruppo sociale. Ne deriva una mappa mentale che fonda spazio fisico e sociale altamente uniformato. È allora importante un’analisi del ruolo della pubblicità turistica, delle dinamiche economiche e di consumo, della funzione della memoria e della conseguente aspettativa del turista. Viene riscontrato l’effetto standardizzante delle brochure turistiche rispetto alla popolazione locale; - immagine come schema: l’enfasi è posta sulla componente visuale tipica dell’uso quotidiano. Il suo utilizzo è assai ampio negli studi turistici per la creazione di simboli che coinvolgano visitatori e visitati; - immagine come realtà non autentica
Boorstin
: il termine indica un rapporto d’opposizione con le nozioni di realtà e di autenticità delle quali l’immagine sarebbe l’adeguata o inadeguata rappresentazione. Questa interpretazione, che insieme alla prima è stata ampiamente usata dai primi studi di antropologia del turismo, deriva dalla nozione di «pseudo-evento» e di «spazio finito» di Boorstin e Mac Cannell. 51 (1964 e cfr. Cohen, 1988), anticipando in parte Baudrillard (1988), sostiene che il turista contemporaneo, non riuscendo a fare esperienza della "realtà" per via diretta, si Autore Sara Rizzi 37 51 D. Boorstin, "The image: a guide to pseudo-events in America", Harper, New York, 1964. 52 Citato in J. Urry, "Lo sguardo del turista. Il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee", ed. SEAM, 1995, pp. 23-34. nutra di «pseudo-eventi», dei quali il turismo è un classico esempio.
Nei capitoli successivi vedremo come questo immaginario turistico si possa riscontrare direttamente interloquendo con i turisti e di come esso possa condizionare l’esperienza turistica. Attraverso il caso etnografico della Namibia da noi studiato, ma anche attraverso autorevoli altri esempi etnografici, come quello di Aime con i Dogon del Mali, evidenzieremo i processi in atto nell’incontro tra immaginario turistico - che va a determinare le motivazioni del viaggio e le modalità di interazione con i locali - e i tentativi dei locali che tendono ad assecondare questo immaginario in modo da veicolare una certa rappresentazione della loro identità. Tenteremo allora di chiarire nel sottocapitolo successivo come l’immagine turistica pubblicizzata e l’immaginario turistico rientrino anche nel dibattito sull’autenticità, sul concetto di immagine ed immaginario "reali". L’immagine pubblicistica dei boscimani del Kalahari in mezzo al deserto intenti nella caccia si può definire "reale"? Cosa ci porta a chiederci se quell’immagine è reale? Perché siamo portati a cercare l’"esotico" rappresentato da quella immagine?
52 Il turista di massa viaggia in gruppi guidati e gode di esperienze non autentiche ma appositamente costruite, tralasciando in questo modo il mondo "reale" esterno. Il sistema turistico ed i locali sono portati dunque a creare esibizioni sempre più particolari ed articolate. Con il tempo, attraverso il passa parola, la pubblicità e i media, le immagini prodotte dalle differenti osservazioni si sedimentano nell’immaginario comune creando un sistema di illusioni per i successivi turisti che, sulla base di questo immaginario, sceglieranno le loro mete di viaggio future. Boorstin sostiene che questi viaggi di gruppo vengano condotti all’interno della «bolla ambientale», cioè di luoghi neutri e riservati che isolano il turista dalle specificità e caratteristiche dell’ambiente ospitante (Simonicca,1997; Urry, 1995). Autore Sara Rizzi 38 2.2 Problemi di autenticità Ipocrita europeo tutto zucchero e miele, ipocrita Dogon così piatto perché più debole – e d’altronde abituato ai turisti – non è la bevanda fermentata scambiata che ci avvicinerà di più. L’unico legame che esiste fra noi è una comune falsità. (M. Leiris, 1988) Il concetto di autenticità è stato per lungo tempo discusso in ambito antropologico, tuttavia oggi è stata messa in rilievo la sua natura di pregiudizio etnocentrico prodotto dalla modernità. È ormai chiara e condivisa la teoria secondo la quale le culture non sono entità monolitiche, stabili, omogenee e chiuse, ma al contrario sono essenze altamente mutabili, condizionabili e aperte a processi di contaminazione ed ibridazione (Simonicca, 1997; Barberani, 2006). Racconta Aime (2005), trattando della società dogon, che i numerosi contatti con altre culture, dati da viaggi e scambi, hanno portato a numerosi cambiamenti. Un maestro di danze del villaggio di Sanga, aveva trovato ad esempio nuovi interessanti elementi per abbellire le danze dogon attraverso l’incontro con danzatori nativi americani. Ciò rende forse le danze meno autentiche? Questa – prosegue Aime – non è una novità, dal momento che lo stesso Marcel Griaule riporta che nel 1935, mentre assisteva ad una danza, vide comparire una maschera diversa dalle maschere tradizionali da lui conosciute. Era la maschera dell’etnografo. I Dogon avevano inglobato ed assorbito una nuova figura che era entrata a far parte delle loro vite. Aime legge queste innovazioni come segni di una tradizione che sa rinnovarsi e sopravvivere (Aime, 2005).
Sebbene il concetto di autenticità sia stato decostruito criticamente in ambito antropologico, appare tuttavia ancora carico di
appeal in ambito turistico. La ricerca di culture "autentiche" come motivazione di viaggio è molto forte, così come lo è l’illusione d’autenticità promossa dall’industria turistica. Vedremo nei capitoli successivi e nella parte etnografica come sia forte l’immagine veicolata dai media e dalle agenzie turistiche riguardo il possibile "incontro con etnie autentiche ed originarie". Rachid Amirou53 sostiene che l’attrazione del turismo moderno per l’esotico sia frutto di una forte idealizzazione della natura e di gruppi umani 53 R. Amirou, "Imaginaire touristique et sociabilités du voyage", Paris, Presses Universitaires de France, 1995. Autore Sara Rizzi 39 ritenuti "autentici" (dal Boscimano del Kalahari alle figure tipiche del pescatore o del contadino), che riportano ad un idea di mondo idilliaco, bucolico, in cui l’uomo era in perfetta armonia con il suo prossimo e con l’ambiente. Anche Bruce Chatwin54 ritiene che l’uomo sia istintivamente portato ad una forte nostalgia verso quella vita arcaica che, nonostante i suoi pericoli, rappresenterebbe una sorta di Età dell’Oro umana. 54 B. Chatwin, "Anatomia dell’Irrequietezza", Edizioni Adelphi, Milano, 1996, pag.205.
55
Intervista ad un italiano all’interno del film-documentario "Cannibal tours" di Dennis O’Rourke (Australia, 1988). 56 M. Aime, "L’incontro mancato: turisti, nativi, immagini.", Bollati Boringhieri, Torino 2005, pag. 117. In una delle interviste svolte all’interno del film-documentario "Cannibal Tours" (1998) si ritrova una riflessione da parte di alcuni italiani riguardo il modo di vivere "primitivo" degli abitanti del villaggio in Nuova Guinea dove è girato il documentario. Ci si chiede se il loro modo "primitivo" di vivere sia migliore di quello occidentale: «Sembrano soddisfatti; vivono inseriti nella natura, vegetano con l’ambiente che offre loro ciò di cui necessitano e non hanno preoccupazioni del domani.»55. In realtà all’interno del film vengono svolte interviste anche ai locali, i quali per lo più smentiscono completamente le idee e le immagini dei turisti. Questo film ci sembra interessante poiché tenta di far chiarezza proprio sui preconcetti e sull’immaginario occidentale riguardo il resto del mondo e questa visione primitiva e bucolica dell’altro. Proprio su queste immagini - sostiene Amirou, ma anche Aime ed Urbain come abbiamo visto precedentemente - gioca la pubblicità turistica. In ambito turistico dunque, il concetto di autenticità rimanda a quello di genuinità, di cultura tradizionale ed originale. Il turista, come afferma Marco Aime, tende a considerare ciò che è "autentico" come ciò che è "vero" e segue la tradizione: «L’autenticità comporta un senso di confine tra diverse serie di regole e convenzioni; si è inclini a pensare che è autentico ciò che è "naturale", come se ci fosse qualcosa di preesistente alla nostra capacità di attribuire o meno l’etichetta di genuinità. Se pensiamo che è "autentico" ciò che è "naturale" e quindi vero, ne consegue che quanto è "falso" è per forza innaturale. E se "vero" significa antico, "nuovo" deve necessariamente coincidere con "falso"»56. Autore Sara Rizzi 40 Il tema dell’autenticità accomuna anche e due teorie di Boorstin e di Mac Cannell che, sebbene opposte, concordano nel definire la società moderna come caratterizzata da un alto grado di alienazione ed inautenticità e per questo i turisti sarebbero spinti a cercare autenticità in luoghi lontani ed esotici che a loro volta sarebbero una costruzione artificiale messa in atto dai locali (Barberani, 2006; Lindholm, 2008). Mac Cannell parla infatti di «inscenata autenticità»57 attorno alla quale verrebbero creati gli «spazi turistici». Il paradosso consiste nella ricerca d’autenticità per sottrarsi all’alienazione della società moderna ma attraverso un’espressione di quella stessa società dalla quale i turisti vorrebbero fuggire (Aime, 2005; Lindholm, 2008). 57 D. Mac Cannell, "Staged autenticity: arrangements of social space in tourist settings", in American Sociological Review, 79, pp. 589-603. 58 M. Aime, "Il primo libro di antropologia", Einaudi Editore, Torino 2008, pp. 259-260. L’attrazione turistica sarebbe dunque – secondo Urry - il prodotto del modo specifico in cui i visitati, cioè gli oggetti dell’osservazione turistica, rispondono per proteggere sé stessi dalle intrusioni nella loro vita quotidiana da parte dei visitatori, ma anche per trarre guadagno dalle attività turistiche. Secondo il sociologo americano Mac Cannell, i locali metterebbero in mostra aspetti della loro cultura per i turisti estraniandoli dalla pratica quotidiana (Urry, 1995). Diventerebbero così pura rappresentazione fedele all’originale. Secondo M. Aime: «in questi casi di "autenticità rappresentata" la performance nasce comunque da una pratica esistente *…+. La non autenticità criticata da alcuni starebbe allora non nella forma dell’evento, ma nella spinta che muove la gente a parteciparvi: il denaro e non una celebrazione, per esempio. Qui però appare evidente la contraddizione, perché la messa in vendita di alcuni aspetti culturali è un effetto indotto dalla richiesta degli stessi turisti che cercano l’autentico. *…+ Paradossalmente, un certo turismo "etnico" va alla ricerca di culture locali autentiche, ma nello stesso tempo è espressione di un’industria turistica che, creando l’illusione dell’autenticità, rafforza di fatto la simulazione sociale e culturale»58. Aime in un testo successivo (2005) racconta l’episodio riportato da un giovane maliano che dice: «quando si fanno danze per i turisti si danza a piedi nudi, perché i bianchi non amano vedere scarpe moderne. Ma quando l’anno scorso ho danzato per il Dama di mio padre, Autore Sara Rizzi 41 avevo le mie Adidas.»59. Ecco un altro palese paradosso del turismo: ciò che è autentico e reale, cioè svolto o utilizzato dai locali oggi, sembra non tradizionale, mentre le rappresentazioni per turisti risultano autentiche. Sarebbe dunque il turista con il proprio immaginario da soddisfare e con la propria ricerca di autenticità a spingere alla «svendita del folklore indigeno», come lo chiama Urbain? 59 Citato in M. Aime, "L’incontro mancato: turisti, nativi, immagini.", Bollati Boringhieri, Torino 2005, pag. 120. 60 Urbain J.-D., "L’idiota in viaggio. Storia e difesa del turista", Aporie, Roma, 2003, pag. 46. 61 Intervista ad un locale all’interno del film-documentario "Cannibal tours" di Dennis O’Rourke (Australia, 1988). L’autore risponde in modo negativo: l’operazione di mercificazione spesso è decisa dall’industria del turismo e dal potere locale. «Come il turista non è il vero responsabile delle malefatte dell’industria turistica, l’autoctono, in molti casi, non è padrone della sua immagine e del suo atteggiamento. Ma deve essere ciò che dicono di lui dirigenti e cataloghi.».
Aime (2005) utilizza il modello elaborato da Erving Goffman (1969) per spiegare la relazione che si instaura tra osservatore ed osservato. La nostra vita – secondo Goffman – corre su due piani paralleli, l’uno pubblico, detto "ribalta" (
60 Urbain sostiene l’idea secondo la quale entrambi, sia il turista che l’autoctono, siano stretti nella morsa del turismo che genera semplicemente scambio di merce (Urbain, 2003). Riprendiamo in considerazione il documentario "Cannibal Tours", nel quale durante le interviste ai locali, emerge chiara la loro presentazione ai turisti di idee ed abitudini ormai non rintracciabili nella loro cultura odierna, ma comunque dichiarate ai turisti, poiché essi vogliono vedere ciò che leggono sui libri. Un locale intervistato afferma: «I turisti leggono di noi sui libri e vengono qui per capire se viviamo ancora come gli antenati o se siamo civilizzati. Questa ad esempio è davvero la casa degli spiriti ancestrali che noi usiamo, ma cosa possono capire loro da questo? Proprio non so.»61. frontstage), dove l’attore metta in scena il proprio io sociale, ciò che di sé vuole mostrare agli altri; l’altro detto "retroscena" (backstage), dove l’individuo torna ad essere se stesso. Secondo Aime questo schema si adatta bene al rapporto turisti-nativi. I primi, quelli più interessati, quelli appartenenti al "turismo etnico" di cui parla Aime nella citazione che abbiamo analizzato precedentemente, cercano autenticità, cioè l’andare oltre l’immagine fornita dai media, oltre lo stereotipo per Autore Sara Rizzi 42 arrivare al cuore dell’esperienza ed in questo si differenziano dal turista massificato. La ricerca d’autenticità starebbe allora nel passaggio dalla "ribalta" al "retroscena" (Aime, 2005).
Crick (1988) fa notare come in realtà tutte le culture abbiano una grossa componente di inautenticità e di "messa in scena". Tutte sono frutto di rimescolamenti, di ibridazioni, di invenzioni, quindi non dovrebbe scandalizzare la palese e dichiarata messa in scena culturale per i turisti (Urry, 1995). Come afferma Goffman
62 anche la rappresentazione fa parte della realtà e non è meno autentica di un presunto retroscena. In un’ottica lontana da esotismi e nostalgie – sostiene Aime – si può affermare che l’autenticità, intesa come comportamento che gli individui tengono nella loro esistenza normale, sta anche nell’agire per i turisti, dal momento che questi ultimi sono entrati a far parte della quotidianità e sono divenuti una fonte di guadagno (Aime, 2005). 62 E. Goffman, "La Vita Quotidiana come Rappresentazione", Il Mulino, Bologna, 1969. Citato in M. Aime, "L’incontro mancato: turisti, nativi, immagini.", Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp. 123-126. 63 E. Hobsbawm, T. Ranger (a cura di), "L’invenzione della tradizione". Einaudi, Torino, 1987, pag.3. Mac Cannell ricorre all’espressione «etnicità ricostruita», per definire il processo di mantenimento e conservazione di forme etniche per l’intrattenimento di altri etnicamente differenti. Hobsbawm (1989) utilizza invece l’ossimoro «invenzione della tradizione» per «indicare un insieme di pratiche, in genere regolate da norme, apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità con il passato»63. Nella parte etnografica vedremo come i turisti si pongano diverse domande riguardo il grado di autenticità di ciò che vedono, ma cercheremo anche di capire qual è il loro immaginario pregresso di ciò che vanno a vedere. Spesso i turisti occidentali si stupiscono per particolari della vita delle popolazioni che visitano che in realtà sono assolutamente normali e banali nel Paese dal quale provengono (nelle interviste che vedremo nella seconda parte si trova stupore e sbigottimento per cellulari, antenne paraboliche, costumi tradizionali indossati nei supermarket cittadini, ecc.). Autore Sara Rizzi 43 Valayer (1998) parla di «sindrome del frigorifero» per indicare il dibattito scatenatosi intorno a quelle popolazioni rimaste a lungo lontane dalla cosiddetta civilizzazione a causa del loro isolamento geografico, politico o grazie alle loro tradizioni particolarmente resistenti. Questo dibattito riguarda il loro accesso ai benefici della società moderna e sintetizzabile con un interrogativo: fino a che punto si può agevolare o scoraggiare l’accesso ai beni della società moderna che faciliterebbero la vita di queste popolazioni ma potrebbero portare anche -come nel caso degli aborigeni australiani, o dei san namibiani divenuti alcolisti - alla loro distruzione? (Barberani, 2006). 2.3 Pratiche di Community Conservation Gli Africani si prendono cura della natura. Vivono con essa ogni giorno. Sono stati etichettati come il problema, in realtà sono la soluzione. (Adams e Macshane, 1992) L’Africa meridionale è stata negli ultimi decenni terreno di sperimentazione di teorie partecipative legate allo sviluppo turistico e ai principi della sostenibilità. In questa parte ci soffermeremo dunque sulle iniziative possibili di sviluppo turistico, conservazione dell’ecosistema e delle tradizioni locali (ammesso che tutto questo sia possibile) messe in atto dagli
Con
host in particolare nell’Africa sub sahariana. Ci concentreremo sulle pratiche di Community-Based Tourism, delle quali i Living Museum namibiani che analizzeremo nel capitolo 4 fanno parte. community-based tourism (CBT) si intende un nuovo modello di sviluppo che ingloba in un unico processo la tutela dell’ambiente, l’efficienza economica e il miglioramento delle condizioni socio-economiche delle popolazioni locali. Si rifà ai principi della community conservation che considera le popolazioni locali, con il bagaglio di conoscenze che hanno riguardo il proprio territorio, come attori essenziali per i progetti di gestione alternativa delle Autore Sara Rizzi 44 risorse. Il turismo dovrebbe a questo punto risultare una risorsa, una strategia di sviluppo per migliorare le condizioni delle popolazioni coinvolte. Obiettivo infatti del CBT sarebbe l’implementazione di un processo di sviluppo locale nel quale la riduzione della povertà si realizza con misure molteplici a seconda dei diversi contesti territoriali, sfruttando le ricchezze naturali che il continente offre (Cencini, 2004; Calandra e Turco, 2007).
La
community conservation ha trovato piena legittimazione nella "Dichiarazione per l’ambiente e lo sviluppo" elaborata al Summit di Rio del 1992 per tutelare la natura e promuovere lo sviluppo. In particolare il principio numero 22 dichiara che: «le popolazioni indigene e le loro comunità hanno un ruolo vitale nella gestione e nello sviluppo dell’ambiente grazie alle loro conoscenze e pratiche tradizionali. Gli Stati devono riconoscere e supportare la loro identità, la cultura e gli interessi e rendere possibile la loro partecipazione effettiva al raggiungimento dello sviluppo sostenibile.»64 64 UNCED, 1992. Citato in Cencini C., "Vivere con la natura. Conservazione e comunità locali in Africa sub sahariana", Bologna, Patron Ed., 2004, pag. 137. Come sostiene Cencini, la community conservation è un termine di difficile definizione rigorosa. Esso tuttavia è entrato ampiamente nel lessico internazionale abbracciando un ampio e differente spettro di approcci e programmi con finalità e modalità d’azione differenti. Nel suo senso vasto e generico, il termine indica l’insieme delle nuove forme di gestione delle risorse che prevedono la devoluzione del diritto di gestire le risorse naturali e di trarre da esse profitto alle comunità locali, cioè a coloro che vivono e si mantengono grazie a queste risorse (Cencini, 2004). Allo stesso tempo però il coinvolgimento delle comunità comporta grossi rischi. Sottolinea infatti Cencini (2004) che dare potere alle comunità significa spesso accentuare le differenze e le tensioni interne. I rischi sono quelli da «sindrome del frigorifero» proposta da Valayer, esposta nel sottocapitolo precedente, ma anche quelli legati ai cambiamenti socio-culturali portati inevitabilmente dal turismo. Esso infatti crea ad esempio nuovi posti di lavoro e conseguenti miglioramenti economici con nuovi status, che però spesso minano il tradizionale sistema di relazioni locale (Aime, 2005). Autore Sara Rizzi 45 Ad ogni modo – analizza Cencini (2004) – in alcuni Paesi africani, e tra questi la Namibia, la natura è il sostegno del turismo internazionale e di una consistente parte dell’economia nazionale. Per questo il turismo ecologico e quello etnico si presentano come una possibile modalità per conciliare gli interessi della conservazione degli ecosistemi naturali e lo sviluppo socio-economico della popolazione. Vedremo infatti successivamente (Capitolo 3) che il Governo namibiano ha dichiarato l’ecoturismo un settore prioritari per lo sviluppo del Paese.
In questo studio ci concentreremo sulle forme di partecipazione attiva di
Un esempio di partecipazione attiva in un progetto di
community conservation. Tra queste ritroviamo appunto il community-based tourism. Per chiarire meglio la disparità di approcci e di modalità possibili alla pratica del community-based tourism, proporremo ora alcuni esempi emblematici attraverso i quali valuteremo anche le ricadute positive e negativi, i successi ed i fallimenti di questi progetti. community-based tourism verrà realizzato in Namibia e riguarda la popolazione kwambi65, in particolare il villaggio di Onkaani, nella zona nord della Namibia, in Owamboland. Durante il nostro periodo di ricerca stava infatti prendendo forma un progetto di collaborazione tra una famiglia kwambi e due piccoli tour operator, l’uno italiano e l’altro tedesco, che hanno sede in Namibia. Siamo stati ospiti, insieme ai rappresentanti dei due suddetti tour operator e ad alcuni soggetti importanti per le relazioni tra le parti, di una famiglia kwambi intenzionata ad attivare una joint venture66. Lo scopo dell’accordo sarebbe quello di portare alcuni turisti in viaggio con i due tour operator, presso il villaggio della famiglia kwambi e qui farli soggiornare almeno un giorno. Le zone interne e lontane dalle vie principali di collegamento in Owamboland, sono assolutamente distanti da iniziative di tipo turistico, oltreché difficilmente raggiungibili. All’interno di questo progetto i turisti verrebbero ospitati in un’area di campeggio non 65 I Kwambi sono un sottogruppo del gruppo etnico Owambo, costituito da 14 regni (oshilongo) e 14 relativi sottogruppi: Kwanyama, Ndonga, Kwambi, Ngandjera, Kwaluudhi, Kolonkadhi, Mbandja, Kafima, Evale, Dohmbodhola, Eshinga, Kwankwa, Ndongwena, Mbalantu. Per approfondimenti si veda C. Brambilla, 2009.
66
La visita presso la famiglia Kwambi si è svolta tra il 25 e il 27 Giugno 2010. I partecipanti, oltre a noi, sono stati: Sonja Ivanek-Kirchner, per Arifu Tours; Gianluca Massalini, per Bush Culture Experiences; Claudia Shivoro, ragazza Kwambi parente della famiglia interessata al progetto di collaborazione ed assistente di Gianluca Massalini. I rappresentanti dei due tour operator sono anche profondamente coinvolti nelle attività della Living Culture Foundation Namibia, che opera per la realizzazione dei living museum. Autore Sara Rizzi 46 attrezzata e potrebbero partecipare durante la giornata alla vita e alle attività quotidiane della famiglia. L’area di campeggio, decisamente limitata, verrà semplicemente ritagliata da una zona di campi coltivati appartenente alla famiglia stessa. Quest’ultima mostrerebbe loro le varie zone del tipico villaggio owambo nel quale essa abita, le attività giornaliere legate all’agricoltura ed alle pastorizia, oggetti materiali utilizzati solitamente, alcune danze tipiche, la preparazione di alcuni cibi, ecc. Il ricavato andrebbe alla famiglia, e durante la nostra visita si era già parlato di una quota per turista ed una quota aggiuntiva per campeggiare.
La visita alla quale abbiamo partecipato non si è limitata all’incontro con la famiglia protagonista del progetto, ma abbiamo incontrato le varie autorità implicate, dal Re Kwambi Ipumbu Ya Shilongo, la più alta autorità tradizionale con sede ad Uukwangula, al quale spettava dare il nulla osta al progetto e approvare la presenza di soggetti esterni alla comunità, al
Chancellor Kuungouelwa del villaggio di Onkaani che farà da eventuale tramite per le prenotazioni o i contatti tra la famiglia e i tour operator. Questi incontri sottolineano l’importanza dell’adesione dell’intera comunità locale al progetto. Tutta l’organizzazione e la sua realizzazione effettiva dipenderà infatti dall’approvazione generale.67 67 Per l’elenco completo degli incontri svolti con la comunità e le autorità Kwambi tra il 25 e il 27 Giugno 2010, si veda:Interviste tipo ed elenco degli intervistati, elenco intervista svolte tra Giugno e Agosto 2010, pag. 112. Come vedremo nel Capitolo 3, il Governo namibiano sta supportando fortemente queste joint venture tra comunità locali e privati. Essendo un progetto nuovo, non possiamo giudicare o avere dati per analizzarlo. Possiamo solamente affermare che il progetto sembra effettivamente calibrato sulla specificità del territorio: verranno condotti qui pochi turisti per il momento ed in particolare coloro molto interessati agli aspetti etnico-culturali del luogo (bisogna per altro sottolineare che è un luogo non facile da raggiungere). Alla famiglia andranno effettivamente i guadagni, anche se non sono in nostro possesso informazioni riguardanti gli accordi di collaborazione o distribuzione dei guadagni tra la famiglia e le autorità locali. Uno dei problemi potrebbe essere quello dell’abbandono della scuola da parte dei giovani durante l’arrivo dei turisti, cosa che è stata fortemente criticata dai rappresentanti dei tour operator durante l’incontro. Essi chiedevano di mostrare e spiegare ai turisti tutto ciò che loro avrebbero fatto, comunicando anche gli atteggiamenti che risultassero loro irritanti o poco rispettosi. Risulta difficile analizzare un progetto non ancora Autore Sara Rizzi 47 partito poiché non si possono avere idee riguardo le eventuali modifiche all’assetto sociale famigliare e comunitario o gli eventuali squilibri di potere tra tour operator e famiglia kwambi.
Un progetto simile a quello appena descritto riguarda il Senegal ed in particolare la Bassa Casamance. Fa sviluppato all’inizio degli anni Settanta dell’antropologo Saglio con la collaborazione del Governo canadese e delle agenzie internazionali di cooperazione, sviluppato all’interno di un progetto di ricerca del Governo senegalese e di università canadesi. L’intento era quello di favorire per i
Altri casi noti sono il
Il programma CAMPFIRE
guest un uso diverso delle risorse della regione, già piuttosto turisticizzata sulla costa. Saglio propose di realizzare entro gli stessi villaggi indigeni alcuni alloggi per turisti dalle forme architettoniche tradizionali lontani dalla costa ma all’interno del ricco entroterra della Casamance. Propose inoltre l’utilizzo dei mezzi di trasporto locali, cioè le canoe lungo il fiume e la possibilità del consumo delle risorse locali, dal cibo ai servizi. In questo caso la comunità si è dimostrata molto partecipativa e ha reagito all’iniziativa con un netto rifiuto del turismo di massa e con l’assunzione dell’idea di turismo come esperienza autentica di scambio sia per i visitatori che per i visitati (Simonicca, 1997). Communal Areas Management Programme for Indigenous Resources (CAMPFIRE) in Zimbabwe e il Amministrative Management Design Programme for Game Management Areas (ADMADE) in Zambia. Essi sono progetti di Community-Based Natural Resource Management (CBNRM), i cui principi base sono: il pieno coinvolgimento e la diretta partecipazione delle comunità locali alla gestione delle risorse naturali; il possesso delle risorse e delle terre come questione centrale per una gestione sostenibile delle risorse; l’equa ripartizione dei benefici tra coloro che sostengono il costo della conservazione rinunciando ad altri usi (Cencini, 2004). 68 è stato concepito negli anni Settanta ed avviato nel 1986. Riguarda 36 distretti rurali su 57 ed il coinvolgimento di oltre 300.000 famiglie (Logan e Moseley, 2002). Il progetto nasce dalla richiesta di una comunità rurale, attraverso i propri rappresentanti del Consiglio di stretto rurale, di poter avere l’autorità legale di gestire le 68 Per una descrizione approfondita del progetto si vedano Barrow e Murphree, 1998; Logan e Moseley, 2002; Cencini, 2004 Turco, 2005. Autore Sara Rizzi 48 proprie risorse naturali. Gli introiti del programma derivano per il 90% dalla caccia. I cacciatori stranieri vengono accompagnati da cacciatori professionisti locali autorizzati. Oltre alla caccia, anche il turismo è fonte di introiti. Esso viene collegato ai programmi di sviluppo rurale e di conservazione. L’uso comunitario delle risorse prevede anche la caccia da parte della comunità locale di alcune specie di antilopi che possono poi essere vendute nei mercati locali o consumate. I profitti ottenuti vengono distribuiti dai consigli distrettuali oppure investiti in progetti comunitari quali scuole, ambulatori, ecc. A più di vent’anni dall’attuazione del programma si riscontra una crescente sensibilità verso le tematiche della conservazione, dal momento che la comunità ne è responsabile e ne beneficia. Ad ogni modo il progetto non ha avuto gli stessi risultati in tutti i distretti nei quali è stato applicato e non ha risolto tutti i problemi. Ad oggi è stato esteso ad altri distretti ed è in evoluzione.
Il programma ADMADE
69 in Zambia nasce nel 1983 all’interno di una Game Management Area (GMA). Le GMA sono state istituite in epoca coloniale su terreni comunitari amministrati dai capi tradizionali. La faune che si trova all’interno delle GMA è di proprietà statale ed il suo utilizzo è regolamentato da norme statali che prevedono quote annuali per ogni specie per l’attività venatoria. Lo scopo del progetto ADMADE è quello di conservare la natura nelle GMA con forme di partnership tra Governo, comunità locali e l’industria privata della caccia sportiva. Più del 90% dei proventi di ADMADE proviene dalle concessioni per safari di caccia, ma il programma dipende anche dai finanziamenti esterni per favorire gli investimenti iniziali. La struttura delle GMA è articolata su tre livelli: l’Unità che corrisponde ad una singola GMA; il Village Action Group, del quale fanno parte i rappresentanti dei villaggi; il Community Resource Board che decide come utilizzare le risorse finanziarie. I guadagni vengono versati su di un fondo comune. La metà delle entrate derivanti dai safari di caccia vanno al fondo, mentre l’altra metà al Governo. I fondi sono poi consegnati mensilmente ai capi villaggio. Dopo vent’anni di attività il progetto ADMADE non ha dato i frutti sperati, ma ha incontrato serie difficoltà di realizzazione. Sono stati segnalati abusi di potere da parte dei capi villaggio ed il progetto non ha mai dato vita ad una reale partecipazione a livello locale. Le comunità locali hanno ricevuto pochi reali benefici 69 Per una descrizione approfondita del progetto si vedano Adams e McShane, 1992; IIED, 1994; Npws, 1999; Cencini, 2004). Autore Sara Rizzi 49 economici e la distribuzione dei guadagni non è mai apparsa del tutto equa (Cencini, 2004). A differenza del progetto CAMPFIRE dello Zimbabwe inoltre, l’ADMADE non ha portato quella sensibilizzazione sperata all’interno delle comunità locali riguardo la conservazione di fauna e flora e non ha dissuaso dalla pratica del bracconaggio (Gibson e Marks, 1995). Cosa più importante è che il progetto non si è dimostrato autosufficiente, ma ha continuato a necessitare di finanziamenti esterni (Adams e McShane, 1992; IIED, 1994).
Come abbiamo visto con questi pochi esempi, le modalità di applicazione della
community conservation sono molte e ciascuna, in base alle particolarità del luogo, al tipo di progetto e ai soggetti che ne sono protagonisti, ha esiti e conseguenze differenti. Autore Sara Rizzi 50 SECONDA PARTE
IL TURISMO IN NAMIBIA E LA POPOLAZIONE SAN
Capitolo 3 Il turismo in Namibia La Namibia è una repubblica dell’Africa meridionale con capitale Windhoek. Con una densità di popolazione di circa 2 abitanti per chilometro quadrato si posiziona al secondo posto tra i Paesi meno popolati al mondo. Il suo territorio è prevalentemente desertico, appartenendo ad essa il deserto del Kalahari e il deserto del Namib, il più antico al mondo. Confina con l’Angola a nord, con il Sud Africa a sud e sud-est, con il Botswana a est e arriva a toccare, con l’estrema punta nord-est del Caprivi, Zambia e Zimbabwe. Ad ovest è completamente bagnata dall’oceano Atlantico. A livello amministrativo è divisa in 13 regioni molto diverse tra loro per numero di abitanti, lingua, etnia prevalente, sviluppo economico e distribuzione del reddito (Cencini, 2004)70. Come vedremo nel Sottocapitolo 3.1, la Namibia presenta ben tredici etnie riconosciute nel Paese ed una conseguente gran varietà culturale ed etnica. Questa è in realtà una caratteristica tipica di tutta l’Africa sud sahariana, derivante per buona parte dalle migrazioni avvenute nei secoli. 70 Si veda il paragrafo 4.2 riguardo la divisione delle terre in Namibia ed il loro utilizzo a livello turistico (Fig.2 e Fig.3). Come ci ricorda Turco (2002), il popolamento dell’Africa sub sahariana è caratterizzato da spostamenti e migrazioni umane e da conseguenti incroci etnici. I primi ominidi che diedero Autore Sara Rizzi 51 il via all’evoluzione risalente a più di due milioni di anni fa, lasciarono traccia di sé nella Rift Valley (Etiopia, Kenya, Tanzania) e a ridosso del tropico del Capricorno (nel Transvaal sudafricano). La principale migrazione che interessò tutta l’Africa sub sahariana per circa due millenni e sancì l’affermazione dei "Grandi Neri" sulle altre popolazioni, fu quella bantu, appartenenti al gruppo umano dei Negroidi propriamente detti, chiamati altresì, secondo diverse tradizioni africane, "Grandi Neri" (Calandra e Turco, 2007; Turco, 2002). Turco sostiene che: «è proprio a partire da questi movimenti che nascono i miti, si alimenta culturalmente l’etnogenesi, si stabiliscono i modi di rapportarsi ai nuovi spazi, di capirli, di modellarli attraverso i simboli della religione, di trasformarli materialmente, di strutturarli politicamente. Ma la specificazione delle innumerevoli etnie africane, e poi l’organizzazione sociale e territoriale di ognuna di esse, conserva forte la traccia del miscuglio di sangue e di culture che dispone al contatto con l’altro, all’accettazione della diversità, alla ricerca di una pacifica convivenza.»71 71 Calandra L. M., Turco A., "Atlante del turismo sostenibile in Africa", Franco Angeli, Milano, 2007, pag. 47. 72 Turco A. "Africa Subsahariana. Cultura, Società, Territorio.", Edizioni Unicopli, Milano, 2002, pag.32. Nel corso di questo capitolo utilizzeremo più volte il termine "etnia", dal greco ethnos che significa popolo, nazione. In Africa ci sarebbero centinaia di gruppi che potrebbero definirsi "etnici", da quelli che si presentano in gran numero, ai gruppi decisamente meno numerosi ma fortemente coesi a livello culturale. Questo porta ad interrogarsi sulla definizione stessa di etnia, questione assai complessa, che ha portato negli anni a dire che «un’etnia esiste ogni volta che un gruppo si sente tale, sviluppando storicamente la coscienza di costituire una individualità socio-culturale.»72. Per molti anni gli antropologi - ricorda Fabietti (2004) - hanno utilizzato il termine "etnia" per indicare un gruppo umano identificabile con la condivisione di una medesima cultura, medesima lingua, medesima tradizione e comune territorio. Nella seconda metà del XX secolo questo modo di intendere l’etnia venne rivisto e fu fortemente criticato da molti antropologi tra i quali Frederick Barth. L’equazione tra cultura, lingua e territorio sembra infatti sottintendere dietro ogni etnia un’origine comune, nonché un sentimento identitario (etnicità) che dà per scontato il carattere statico ed Autore Sara Rizzi 52 assoluto del gruppo (Fabietti, 2004). Un’altra proposta di interpretazione ed utilizzo del termine proviene dal geografo Richard-Molard (1952) che prose di utilizzarlo in chiave euristica, come termine indicante delle collettività che si definiscono in forza di una condivisione di valori ed insediandosi configurano delle "aree di pace" dal momento che le relazioni interne sono meglio regolamentate e tutto sommato meno tese rispetto a quelle intrattenute con collettività esterne73. Allora un gruppo etnico non sarebbe più accomunato da caratteristiche linguistico-culturali, sociali, artistiche, tecniche, ma bisognerebbe connotare un popolo come artefice del processo di territorializzazione (Turco, 2004). 73 Citato in Turco A. "Africa Subsahariana. Cultura, Società, Territorio.", Edizioni Unicopli, Milano, 2002, pag.39.
74 Dal sito internet del Consolato Onorario di Namibia in Italia (http://www.consolatonamibia.it/ Namibia/namibia-storia.aspx?idArea=433).
Consci di tutte le critiche e di tutti i dibattiti pluridisciplinari riguardo questo termine, lo utilizzeremo - al pari di Calandra e Turco (2002; 2007) - come riferimento descrittivo. 3.1 La Namibia e l’etnia San Il Boscimano, che per le qualità psichiche e per il suo modo di vita, sotto molti aspetti occupa probabilmente il grado più basso fra tutti i popoli dell’Africa, è superiore a tutti loro per il suo irrefrenabile amore per la libertà.
(R. Bosi, 1961)
I primi abitanti della Namibia furono i San o Boscimani, la cui antica presenza è testimoniata da numerosi esempi di arte rupestre nella zona del Damaraland. Da qui furono spinti, durante il XIV sec. verso il deserto del Kalahari dalle popolazioni Nama e Damara. Verso il XVI sec. giunsero, probabilmente dalla regione dei Grandi Laghi, i popoli Owambo di origine bantu. Si stabilirono lungo il confine tra Angola e Namibia, sulle rive del fiume Okavango. Infine intorno al XVII sec. fecero la loro comparsa i primi mandriani Herero74. Questa è una delle principali caratteristiche namibiane, cioè il gran numero di etnie presenti e Autore Sara Rizzi 53 riconosciute, ben tredici: San, Nama, Damara, Herero, Himba, Owambo, Kavango, Capriviani, Tswana, Basters, Coloured, Afrikaners, Caucasian75. Queste etnie sono riconoscibili poiché presentano caratteristiche fisiche molto diverse e anche le lingue da loro parlate sono spesso molto differenti a livello fonetico76. In realtà la pluralità etnica è una caratteristica propria di buona parte del continente africano come abbiamo osservato nella parte iniziale del Capitolo 377. 75 J.S. Malan "Peolples of Namibia", Rhino Publishers, Wingate Park, 1995. 76 La lingua ufficiale della Repubblica namibiana è l’inglese. Tuttavia sono presenti più di undici lingue indigene, di cui l’Oshiwambo, di ceppo Bantu, è la maggioritaria, parlata da circa il 50% dell’intera popolazione namibiana. È la lingua dell’etnia Owambo, la più numerosa della Namibia. Oltre alle altre lingue indigene, sono molto diffuse il tedesco e l’Afrikaans, quest’ultimo soprattutto nelle zone costiere e nella parte meridionale del Paese. 77 Si veda l’introduzione al Capitolo 3 (pag. 48). 78 J. Suzman, "An Assesment of the Status of the San in Namibia", Windhoek, Aprile 2001, Report No. 4 of 5; in "Regional Assesment of the Status of the San in Southern Africa", Legal Assistant Centre, Windhoek, Aprile 2001. 79 Idem, pag. 3. Come ci ricorda James Suzman78, sebbene oggi la Namibia sia uno Stato unitario e non-etnico, permane una grossa divisione tra identità etnica e classe economica o socio-politica. L’etnia Owambo è attualmente la più numerosa e con questo potere numerico decide spesso le sorti politiche del Paese. I diversi gruppi San, sebbene parlino lingue o dialetti diversi, vivano in aree differenti e abbiano sviluppato identità autonome, condividono tuttavia uno stato sociale disagiato, da emarginati. Secondo Suzman79, Dieckmann e Otto (2010), questa situazione sociale comune ha portato i diversi gruppi San locali ad unirsi, ad identificarsi non più solo come gruppi locali Ju/’Hoansi, Nharo,!Kung, etc., ma come gruppo San collettivo. Come possiamo osservare dalla Tabella 1, le lingue e i dialetti San sono diversi e numerosi, ciascuno appartenente a regioni diverse, quasi tutte però del nord-est della Namibia. Come vedremo successivamente queste lingue e dialetti hanno in realtà una struttura e delle caratteristiche molto simili, quindi anche oggi i diversi gruppi dialettali riescono molto spesso a comprendersi ed interagire senza problemi. La differenza linguistica è data dalla struttura originaria della società San. I San infatti han sempre vissuto in modo semi-nomade in piccoli gruppi famigliari autonomi, in diverse regioni del Kalahari, a contatto con altri diversi gruppi linguistici ed etnici. Autore Sara Rizzi 54 Lingue San Gruppi dialettali Regioni !Kung (//’HengaKxausi and Omatako !Kung) Otjozondjupa Omaheke Kavango Mpungu OvaKwankala Kavango Omusati, Oshana, Ohangwena, Oshikoto ("the 4 ‘O’ Regions") !Xu (Vasekele) Otjozondjupa Kavango Caprivi Ju/’hoansi Otjozondjupa Omaheke Omaheke Ju/’hoansi (‡Au//eisi, Makaukau and Auen) Omaheke !Xo N//usan Omaheke Khoe Nharo Omaheke Kxoe //XoKxoe //OmKxoe BugaKxoe BumaKxoe Kavango and Caprivi Keren Oshikoto Kunene Kwankala Kavango Oshikoto !Kung-Hai//om Kunene Oshikoto !Kung Hai//om (Koekhoegowab)
Tabella 1: Lingue e dialetti San nelle diverse zone della Namibia. Da J. Suzman, 2001, pag.3. Essendo i più antichi abitanti della Namibia, i San attraverso la loro storia ci possono raccontare anche la storia della Namibia.
Oggi sono presenti circa 33.000 San namibiani, dislocati principalmente nel nord-est del Paese. Essi rappresentano solamente il 2% della popolazione totale. Studi archeologici e storici hanno portato alla conclusione che ci fosse presenza di popolazione umana in Namibia fin dall’ottomila a.C.. Si ritiene che molte della persone classificate oggi come "san", siano i diretti discendenti della popolazione preistorica che anticamente abitava quest’area (Suzman, 2001).
Le categorie "San" o "Bushman" vennero create, la prima dai pastori o agricoltori di lingua bantu migrati verso l’Africa meridionale a significare "straniero", la seconda dai coloni bianchi per indicare gli "uomini del
bush, della boscaglia". Le popolazioni categorizzate come Autore Sara Rizzi 55 "San" erano piuttosto differenti dai popoli Bantu incontrati: parlavano lingua
Nel 1960 la
khoe o san (caratterizzata dai cosiddetti click), vivevano prevalentemente di caccia e raccolta e avevano una struttura fisica simile tra loro caratterizzata dalla bassa statura, l’esile corporatura ed un colorito della pelle giallognolo. I San fanno parte, insieme ai khoi (detti Ottentotti dei colonizzatori bianchi), che praticavano prevalentemente l’allevamento, del più ampio gruppo etnico khoisan (Rugiu, 1931; Biesele 1990; Olivo, 2008; Calandra e Turco, 2007). Dopo l’incontro e lo scontro con le popolazioni bantu giunte in Africa meridionale 1.500 anni fa, dagli anni Cinquanta del Seicento i San si scontrarono con gli Olandesi giunti in terra africana e vennero spinti verso il bacino del Kalahari. Proprio questo, secondo l’antropologa Megan Biesele, fece sì che i San riuscissero a mantenere salde le proprie tradizioni, i propri costumi ed i propri metodi di sussistenza, vivendo in un ambiente solitario e duro come il deserto del Kalahari intorno al quale ancora oggi risiedono i più numerosi gruppi san (Biesele 1990). In seguito al controllo sudafricano sulla Namibia (denominata allora South West Africa) - avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale con un atto d’occupazione, al quale seguì un mandato ufficiale d’amministrazione da parte della Società delle Nazioni - e alla necessità di controllare terre e popolazione, il Governo d’occupazione sudafricano spinse i gruppi San a sedentarizzarsi e a praticare prevalentemente l’agricoltura. Sebbene la situazione dei San non fosse delle migliori neanche sotto il controllo dei colonizzatori tedeschi, che resero la zona dell’attuale Namibia colonia tedesca nel 1892 con il nome di Africa Tedesca del Sudovest, tuttavia la loro situazione peggiorò in seguito al passaggio della South West Africa sotto il controllo del Governo sudafricano (Suzman, 2001). Odendaal Commission decise che la zona del Bushmanland e del Caprivi Ovest diventassero homeland80, evoluzione delle precedenti riserve etniche nate in precedenza in 80 Sebbene già dall’inizio del Novecento il Governo sudafricano avesse stabilito sul territorio sudafricano la creazione di "riserve etniche", le homeland o bantustan ("terre natìe") vennero ufficializzate dal Governo di D.F. Malan nel 1951 con il Bantu Authorities Act. Nel 1959 il Bantu Self-Government Act stabilì il principio dello "sviluppo separato", secondo il quale le homeland potevano autogovernarsi. Così facendo i neri persero quel poco potere che ancora avevano sul Sudafrica e venne cancellata per loro la cittadinanza sudafricana. Essi erano cittadini solamente della loro homeland. Seguì un periodo di trasferimento coatto nella varie homeland e spesso la divisione etnica venne fatta in modo molto arbitrario. Il governo fu esplicito nel dichiarare che l'intento ultimo dello Sviluppo Separato era l'espulsione di tutti i neri dal Sudafrica. Come disse il ministro Connie Mulder il 7 febbraio 1978: "Se la nostra politica viene perseguita fino alla sua logica conclusione per quanto concerne i neri, non resterà neppure un nero con cittadinanza sudafricana. Ogni nero sarà sistemato in [continua] Autore Sara Rizzi 56 uno Stato indipendente in modo onorevole e questo Parlamento non sarà più tenuto a occuparsi politicamente di queste persone." (Gordon 1992; Lapierre, 2008). Questa politica venne trasferita anche sulle terre dell’attuale Namibia in seguito all’amministrazione sudafricana della South West Africa. Sudafrica. Nel 1971 il progetto si realizzò e da quel momento le sorti dei gruppi di lingua san furono diverse in base al loro luogo di residenza. Chi infatti non si trovava all’interno della zona del Bushmanland – attuale Tsumkwe District - perse i propri diritti sulla terra, infatti il Governo iniziò a confiscare territori per la creazione di riserve naturali e parchi protetti o per assegnarle ad altre etnie per la creazione di homeland (buona parte delle terre degli Ju/’Hoansi San nella zona di Tsumkwe venne confiscata per creare l’Hereroland Est per l’etnia Herero). Suzman ci ricorda che in quegli anni all’interno della zona denominata Bushmanland vivevano meno del 3% dei San namibiani (Suzman, 2001). In questi anni si verificarono gravi problemi di vagabondaggio, alcolismo e alti tassi di povertà tra i San che erano stati spinti per altro in una terra ben poco fertile e redditizia. Tra gli anni Cinquanta e Ottanta del Novecento gli Ju/’Hoansi San namibiani persero il 70% delle loro terre di caccia e raccolta. Questa loro vulnerabilità venne sfruttata dal Governo sudafricano durante i conflitti con l'organizzazione indipendentista di ispirazione marxista South-West Africa People's Organisation (SWAPO), che lottava per l’indipendenza namibiana (Biesele e Weinberg, 1990; Gordon, 1984; Lee 1988; Marshall e Ritchie, 1984). Si pensi ad esempio al "31° Battaglione Boscimano", costituito dal Governo sudafricano per contrastare i guerriglieri. Era composto da Boscimani attratti dal buon salario - vista la loro assai precaria situazione economica- e reclutati come tracker. La loro esperienza ed enorme conoscenza della natura e del luogo, permisero al Sudafrica una forte azione di controguerriglia. Una volta ottenuta però l’indipendenza della Namibia il battaglione fu sciolto e i Boscimani non vennero più accettati in patria o comunque emarginati. Chi non era entrato nelle file dell’esercito, prestava generalmente servizio nelle fattorie dei coloni bianchi. Qui i San rappresentavano l’ultimo gradino nella gerarchia sociale lavorativa. Essi venivano pagati meno dei lavoratori non San che di solito occupavano posizioni di autorità al di sopra dei San. Questi ultimi infatti erano ritenuti dai proprietari delle fattorie non affidabili, indisciplinati, contrattori di debiti. Molti San lavoravano e lavorano inoltre nella cura del bestiame per Herero o Tswana su terre Autore Sara Rizzi 57 comunitarie (R. Sylvain, 2002). Queste terre derivano dalla trasformazione e abolizione delle homeland in seguito all’indipendenza81. 81 Si veda il sottocapitolo 3.2 per maggiori dettagli sulla divisione delle terre namibiane.
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Lorna Marshall fu un’antropologa americana che per lunghi anni studiò e visse con i Boscimani del Kalahari. Citato in J. Suzman, "An Assesment of the Status of the San in Namibia", Windhoek, Aprile 2001, Report No. 4 of 5; in "Regional Assesment of the Status of the San in Southern Africa", Legal Assistant Centre, Windhoek, Aprile 2001, pag. 5. Dopo l’indipendenza della Namibia nel 1990, la popolazione san si è sempre più impoverita, in seguito anche alla creazione di parchi nazionali che han tolto loro terre e al divieto conseguente di cacciare in molte zone del Paese (Calandra e Turco, 2007). Essi risultano per la maggior parte dipendenti dall’esterno, da finanziamenti governativi e non, ma soprattutto lontani da canali possibili di sviluppo (Suzman, 2001). Secondo dati UNPD, il gruppo san è l’unico della Namibia i cui indici di povertà e sviluppo umano sono peggiorati tra il 1996 e il 1998. Tabella 2: Indice di Sviluppo Umano per gruppi linguistici (1996-1998). Dati da UNPD 1998. (In J. Suzman, 2001) L’immaginario tipico dei San oggi, veicolato da documentari, brochure e film, è quella di un popolo di cacciatori e raccoglitori ancora legato alla natura, in simbiosi con essa, vestiti di pelli, ma questa immagine è ormai ben lontana dalla realtà. Lorna Marshall (1976)82 notava già negli anni Cinquanta del Novecento che ben pochi San in Namibia vivevano ancora isolati nel Kalahari cacciando e raccogliendo radici. Successivamente l’antropologo Richard Lee stimò che negli anni Settanta solamente il 5% dei San namibiani viveva di caccia e raccolta (Biesele, 1976; Hitchcock, 1997). Lee, così come Biesele, notarono che, alla fine degli anni Novanta, la società San, dai !Kung del Botswana agli Ju/’Hoansi namibiani, era in pieno Autore Sara Rizzi 58 cambiamento. A differenza di altri popoli non sono riusciti a mantenere il loro sistema adattivo intatto o a modificarlo in modo funzionale al nuovo contesto (Fabietti, 2004). Alcuni autori ritengono che i cacciatori-raccoglitori di oggi non potrebbero sopravvivere senza interagire con società fondate su altre forme di adattamento (Bailey, 1989). Quei gruppi - detti oggi "nativi" o "autoctoni" - che l’avanzata delle civiltà agricole ed industriali, unitamente alla proliferazione degli stati coloniali e post-coloniali, ha ridotto al ruolo di marginali, poveri e sfruttati nelle attività dei gruppi limitrofi, vengono detti da Schweitzer, Biesele e Hitchcock (2000) «moderni marginali». Tra questi vi sono i San (Fabietti, 2004).
Nel 1974 John Marshall realizza il documentario "Gli ultimi Boscimani del Kalahari" per la
National Geagraphic Society83. Egli, grande conoscitore della popolazione residente nella Nyae Nyae Concervancy, si domanda quanto tempo passerà prima dell’inevitabile perdita di alcune loro tradizioni. Marshall nota come ormai essi siano dipendenti dall’esterno, siano inevitabilmente anch’essi all’interno del mercato economico attraverso la vendita e lo scambio di capre. Anche la caccia viene fatta in modo efficiente spesso senza più il valore rituale e collettivo che serviva da collante per i vincoli di parentela e che era invece più evidente e forte quando il giovane Marshall, anni addietro arrivò in Namibia con la famiglia. 83 J. Marshall, "Gli Ultimi Boscimani del Kalahari", National Geaographic Society, USA, 1974. John Marshall si trasferì con la famiglia, nel 1951, a quindici anni, nelle terre corrispondenti alla Nyae Nyae Concervancy. Grande conoscitori del popolo San, realizzò diversi documentari e studi riguardo i San della Namibia e del Botswana tra gli anni Sessanta e Ottanta. Anche i San sono dunque inseriti, seppur ancora oggi con un ruolo molto marginale, in quel processo di modernizzazione e creazione di uno Stato indipendente ed unitario che ha portata alla Namibia odierna.
Ad oggi la Namibia è uno Stato indipendente e ricco di contraddizioni. Proprio questo probabilmente costituisce parte del suo indiscutibile fascino. Convivono senza apparenti problemi ex colonizzati ed ex colonizzatori. Se da un lato presenta un Pil pro-capite tra i più elevati dell’Africa, dall’altro presenta una delle più elevate disparità di distribuzione del reddito al mondo. Nonostante i giacimenti di diamanti, zinco, rame, argento e oro, l’economia namibiana si sta sviluppando solo da pochi anni e non aiuta comunque a fermare l’alta incidenza di infezioni di AIDS/HIV delle regioni del nord al confine con l’Angola. Pur possedendo ricchezze culturali, biodiversità e ambienti naturali tra i più disparati, stenta Autore Sara Rizzi 59
ancora a "camminare con le proprie sole gambe" e ad attuare realmente i propositi di tutela ambientale e dei diritti umani decantati nella Costituzione, presentando infatti ancora oggi gravi problemi nei progetti di aiuto e tutela delle minoranze. In questo quadro complesso si inserisce il tema del turismo. Cosa rappresenta quest’ultimo per la Namibia di oggi? Figura 3: Le tredici regioni amministrative della Namibia (Dal sito internet del Ministry of Environment and Tourism – Republic of Namibia: www.met.gov.na) Autore Sara Rizzi 60 3.2 Lo sviluppo del turismo namibiano dall’Indipendenza I turisti portano denaro. Senza denaro non possiamo tenere la terra, senza terra non possiamo esistere. Per noi è l’ultima battaglia. (Benjamin Xishe, boscimano Ju/’Hoansi. In C. Cencini, 2004) Come abbiamo potuto notare nel sottocapitolo precedente, la relazione tra bianchi europei e popolazioni autoctone è sempre stata molto forte e molto complessa. Dalle stime del Consolato Onorario di Namibia in Italia, si evince che la popolazione bianca in Namibia rappresenta il 5% del totale, ma produce il 75% della ricchezza nazionale84. 84 La riposta tipica che viene data dagli Italiani che vivono da tempo in Namibia alla domanda "Com’è la situazione tra bianchi e neri a livello politico-economico?" è "I neri controllano la politica ma i bianchi hanno in mano l’economia e forse quest’ultima ha più peso della prima". Per capire la distribuzione e lo sviluppo dei canali turistici ed economici, nonché le problematiche sociali ad essi legati, è utile avere una mappa della distribuzione delle terre in Namibia. Figura 4: Divisione ed utilizzo delle terre namibiane (da "Progetto Acacia" E1, Università di Colonia. Dati da "Atlas of Namibia Project", 2002, Ministry of Environment and Tourism, www.dea.met.gov.na , 2003). Autore Sara Rizzi 61 Vi sono terre commerciali (freehold land), private, che occupano il 45% del territorio nazionale e rappresentano la maggior parte delle terre fertili. Sono di proprietà di agricoltori bianchi e forniscono circa il 90% dei raccolti immessi sul mercato. Tutte le principali concentrazioni urbane, compresa la capitale Windhoek si trovano su queste terre. Le terre comunitarie (communal land) occupano invece il 40% del territorio e derivano dalle homeland, per concentrarvi le varie etnie85. Oggi la maggioranza della popolazione risiede in queste terre praticando un’economia di sussistenza. In fine vi sono terre statali (state land) che costituiscono il 15% del territorio nazionale costituite da parchi nazionali o riserve minerarie (Cencini 2004; Melndelsohn, Jarvis, Roberts, Robertson, 2002; Weaver, Elliott, 1996). 85 Si veda il sottocapitolo 3.1 e la nota 80.
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Dati da "Summary Analysis 2006", Ministry of Environment and Tourism of Namibia (www.met.gov.na). 87 Per approfondimenti si veda "Tourism Development Plan", Ministry of Environment and Tourism of Namibia, 1992. Vedremo come il diverso status delle terre in Namibia vada a condizionare l’esistenza delle persone che vivono su di esse. I due living museum che andremo a considerare sono infatti l’uno su terra comunitaria ed in particolare all’interno della N#a-Jaqna concervancy e l’altro invece su terra privata, all’interno di una fattoria. Anche il turismo namibiano si articola in modo diverso in zone diverse del Paese e su tipologie di terre diverse. La nascita del turismo in Namibia risale agli anni Settanta. Ciò nonostante fino agli anni Novanta non si hanno dati statistici, poiché l’attuale Namibia era parte del Sudafrica. L’indipendenza raggiunta solamente nel 1990 ha reso la Namibia uno degli Stati più giovani al mondo e di conseguenza anche uno dei meno noti. La maggior parte degli arrivi turistici sono via terra, in auto, e provenienti dagli Stati confinanti, in particolare dal Sudafrica. Il turismo namibiano possiede un enorme potenziale, con un ritmo di crescita annuale medio dell’ 8% (un incremento del 9,92% tra il 2005 e il 2006 e del 7,13% tra il 2006 e il 2007)86. Riconoscendo l’importanza strategica del settore turistico per lo sviluppo del Paese, il Governo namibiano prevede che esso diventi, nei prossimi anni, il secondo motore trainante del Paese87 (Hitchcock, 1997). Nel 2006 il settore turistico ha rappresentato il Autore Sara Rizzi 62 15,96% delle entrate statali e ha creato 71.780 posti di lavoro88. Il turismo namibiano e quello della maggior parte dei Paesi sudafricani è basato sull’aspetto naturalistico e faunistico che ha portato i Governi ad attuare politiche mirate alla protezione della flora e della fauna. Le risorse naturali sono state riconosciute come portatrici di valore (Cencini, 2004). 88 Dati da "Summary Analysis 2006", Ministry of Environment and Tourism of Namibia (www.met.gov.na). 89 Intervista a Sem Shikongo, Director of Tourism of MET. In "Museum Matters", Dic. 2009, Museum Association of Namibia, pag.8. 90 Per approfondimenti si veda M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005. 91 Ad oggi molte fattorie sono state convertite in riserve naturali private per la caccia o l’ecoturismo. Le guest farms sono generalmente fattorie che offrono alloggio; le game farms sono fattorie specializzate in ecoturismo e fotosafari, possiedono quindi spesso una propria riserva naturale privata (game riserve); le hunting farms sono fattorie specializzate in attività di caccia grossa, settore questo che attira molti turisti in particolare del nord Europa. Secondo Sem Shikongo, Direttore della sezione Turismo del
Per quanto riguarda le strutture ricettive, la Namibia è piuttosto ben fornita. Dispone di strutture numerose e moderne soprattutto intorno alla capitale, Windhoek, che trovandosi al centro del paese ed essendo fulcro delle principali strade di collegamento, rappresenta una tappa obbligatoria per qualsiasi tipo di tour. Nel resto della Namibia si trovano diverse sistemazioni, dai
Ministry of Environment and Tourism of Namibia (MET), la Namibia ha una serie di vantaggi rispetto ad altre possibili mete turistiche: presenta paesaggi vasti e selvaggi, ha abbondanza di animali selvatici e biodiversità, ha carne e pesce incontaminati in abbondanza, una serie di servizi funzionanti e una grande ricchezza culturale89. Egli ritiene che, alla luce dell’importante ruolo economico che il turismo ha assunto in Namibia, esso potrebbe aiutare ad alleviare la povertà attraverso attività turistiche gestite direttamente dalle comunità. Sem Shikongo sostiene allo stesso tempo che le comunità debbano essere altresì consce dei possibili pericoli derivanti dal turismo, come lo "spossessamento culturale", la creazione di conflitti tra le varie generazioni e la perdita di valore di alcune pratiche culturali. Parlando successivamente dei Living Museum vedremo come la proposta di aspetti culturali a pagamento a persone estranee al contesto culturale stesso, sia un tema altamente dibattuto90. rest camp gestiti dallo Stato all’interno dei parchi nazionali, alle guest farm, rest farm e hunting farm91 (Cencini, 2004; Weaver, Elliott, 1996). Autore Sara Rizzi 63 Seguendo il modello della struttura spaziale elaborato da Weaver e Elliot (1996) per il turismo namibiano, notiamo una forte dicotomia tra aree commerciali interne ed aree comunitarie periferiche per quanto riguarda lo sviluppo turistico (si faccia riferimento alla figura 2 e alla descrizione della divisione della terre namibiane). Essi identificano quattro zone:
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Un nucleo interno, costituito essenzialmente dalla capitale Windhoek. Qui sono presenti tutte le organizzazioni di categoria legate al turismo, assolve a tutte le funzioni economiche e fa da crocevia, data la posizione centrale rispetto al Paese e data la presenza dell’aeroporto internazionale, per tutte le rotte turistiche, siano esse internazionali, interne o legate al turismo dai Paesi limitrofi. Un nucleo esterno, costituito dalle terre private controllate per lo più da Bianchi intorno a Windhoek e alle principali aree protette. Qui si concentrano numerose guest farm o game farm che propongono visite al patrimonio faunistico delle aree protette o delle riserve private. Una periferia (terre statali), sinonimo delle grandi riserve naturali statali. Queste attirano il maggior numero di turisti con un alto profilo qualitativo e sono l’opportunità principale per l’ecoturismo. Una periferia (terre comunitarie), che occupa circa la metà del Paese ed è occupata dalla maggioranza della popolazione nera. Questa zona realizza solamente una piccola parte dell’attività turistica. Le ragioni di questa situazione sono, secondo Wilkin (1989) da imputare alla mancanza di infrastrutture, di servizi, di manodopera ereditata dalla politica coloniale prima, e dall’amministrazione derivante dal protettorato sudafricano poi, che han sempre dato poco peso ed attenzione a queste zone. Tra il 1986 e il 1996 si è invece concentrata in queste terre la guerriglia tra Governo sudafricano e truppe indipendentiste della SWAPO. Ad oggi, attraverso la politica statale delle concervancies e la presa di coscienza della popolazione nera, la situazione sta cambiando. In queste zone si stanno sviluppando, anche se a rilento, progetti di community-based tourism. Autore Sara Rizzi 64 Figura 5: Il modello spaziale dell'organizzazione del turismo in Namibia (da Weaver e Elliott, 1996; Cencini 2004). Carlo Cencini sottolinea come sia importante per la Namibia un ecoturismo che si accosti alla definizione dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) (Ceballos-Lascuràin, 1996), cioè non solo "ecologico", ma anche "etnico", cioè aperto all’incontro con le altre culture a alla scoperta dell’Africa, ed "etico", cioè capace di coinvolgere le comunità locali e contribuire al loro sviluppo. Si propone un turismo delle tre "e"92. Questo tipo di turismo permetterebbe infatti di non concentrare l’intero flusso turistico nel "nucleo interno", ma di permettere un regolare afflusso turistico anche alle zone periferiche attraverso l’incontro consapevole con diverse culture e attraverso il coinvolgimento delle comunità locali e la partecipazione al loro sviluppo (Cencini 2004). Il turismo in Namibia è inevitabilmente legato – sostiene Cencini – al coinvolgimento delle popolazioni locali, poiché solamente in questo modo si potrebbe evitare di aggravare le disparità spaziali e sociali tra "centro" e "periferia". Per realizzare questo progetto e per un reale sviluppo economico omogeneo, le aree comunitarie dovrebbero essere integrate nell’industria turistica namibiana attraverso nuove 92
forme di ecoturismo e di etnoturismo (Cencini, 2004). Se si considerano i diversi tour proposti dai tour operator si nota come le rotte turistiche siano pressoché identiche, standard e tocchino davvero una minima parte dello sconfinato territorio namibiano. Esse toccano generalmente i "
Una domanda essenziale da porsi a questo punto è quanto possa essere positivo lo sviluppo del turismo, seppur di nicchia o delle tre "e" proposte da Cencini per la Namibia, ma soprattutto per le popolazioni che abitano in queste zone periferiche. Nel capitolo successivo proveremo a comprendere come, un progetto di
Cencini C. "Vivere con la natura. Conservazione e comunità locali in Africa sub sahariana, Bologna, Patron Ed., 2004, pag. 260. Autore Sara Rizzi 65 must" namibiani, quei luoghi irrinunciabili, già visti e rivisti da milioni di turisti, ma non considerano le rotte meno note, quelle periferiche che risultano molto più complesse da proporre, da realizzare e da far comprendere al turista. community-based tourism in area periferica come il living museum di Grashoek, possa svilupparsi, attrarre turisti, portare risultati positivi o negativi per l’intera comunità coinvolta. 3.3 Politiche governative del Ministry of Environment and Tourism of Namibia Una politica globale è necessaria per assicurarsi che il turismo venga sviluppato in maniera sostenibile, equa e responsabil, così che porti un contributo significativo allo sviluppo economico della Namibia e alla qualità della vita di tutto il suo popolo. (Trad. dall’ingl. ns., Introduzione a "Draft Tourism Policy 2001-2010", MET) I programmi intrapresi dal Governo, mostrano il tentativo di attuare un’attività turistica controllata e non lesiva delle risorse naturali. La Namibia è l’unico Stato africano ad avere all’interno dell’articolo 95 della Costituzione una dichiarazione d’intenti che fa appello «alla conservazione degli ecosistemi, dei processi ecologici essenziali e della diversità biologica Autore Sara Rizzi 66
della Namibia nonché all’utilizzo delle risorse naturali viventi su base sostenibile a beneficio di tutti i Namibiani, sia attuali che futuri.»
93. 93 Si veda Appendice 1, art. 95 di "The Constitution of the Republic of Namibia". 94 In una ricerca del 1994 di Ashlay e Garland, si nota come le join-venture tra privati e comunità locali o le imprese controllate dalla comunità stessa, creino maggiori potenzialità per il raggiungimento di diversi obiettivi. Cit. in Cencini C. "Vivere con la natura. Conservazione e comunità locali in Africa sub sahariana, La nascita del
Proprio per favorire questo aspetto, nel 1995 il Governo ha lanciato la
Ministry of Environment and Tourism of Namibia (MET), sancisce proprio il forte legame tra turismo e ambiente. Questo organo governativo ha dato vita a due importanti documenti, il Tourism Development Plan (MET, 1992) e il White Paper on Tourism (MET, 1994), che si propongono di guidare lo sviluppo turistico in base alla capacità di sopportazione dei diversi ecosistemi e alla possibilità di coinvolgimento delle comunità locali nelle aree comunitarie attraverso joint ventures e creazione di cooperative locali. L’obiettivo sarebbe quello di favorire il turismo nelle zone periferiche della Namibia e renderlo strumento di equa distribuzione dei redditi (Weaver e Elliott, 1996). Altro documento estremamente importante ai fini della nostra ricerca è il Promotion of Community Based Tourism (MET, 1995), che pone attenzione all’aspetto delle comunità locali come attori principali dello sviluppo e della tutela ambientale: «Questo documento fornisce un quadro per garantire che le comunità locali abbiano accesso alle opportunità di sviluppo turistico e siano in grado di condividere i benefici delle attività turistiche che si svolgono sulla loro terra.» (traduzione dall’inglese nostra). Concervancy Policy che concede agli abitanti della aree comunitarie il diritto di beneficiare delle proprie risorse naturali (Ashley e Barnes, 1996). La legge consente infatti la creazione di concervancy, cioè aree comunitarie in cui la popolazione locale o i proprietari mettono in comune le risorse naturali ai fini della loro tutela e dell’utilizzo sostenibile delle risorse stesse (Cencini, 2004). Il Governo sta tentando di portare avanti, dal 1994 il Community-Based Tourism Development (CBTD), cioè il coinvolgimento dei residenti delle aree comunitarie nel turismo sta ricevendo una grande attenzione da parte del Governo, dei tour operator, delle organizzazioni non governative presenti sul territorio e delle comunità locali stesse.94 Dal 1998 ad oggi sono state istituite 59 concervancy. [continua] Autore Sara Rizzi 67 Bologna 2004, Patron Ed., pp. 257-259. Nel capitolo successivo descriveremo la nascita di una join-venture tra privati e comunità locale in Owamboland, derivata dalla mia esperienza diretta sul campo. 95 Per maggiori dettagli si veda www.nacso.org.na (sito web di The Namibian Association of Community Based Natural Resource Management (CBNRM) Support Organisations). Regione Numero di conservancies registrate Area (km2) Popolazione Caprivi 11 3.118 25.119 Erongo 4 17.419 6.800 Hardap 2 1.422 270 Karas 4 6.550 11.280 Kavango 4 1.190 6.000 Kunene 20 41.690 30.960 Ohangwena 1 1.340 336 Omaheke 1 6.625 221 Omusati 3 9.496 60.425 Oshikoto 1 508 20 Otjozondjupa 8 43.734 34.365 Totale 59 133.092 175.796 Tabella 3: Distribuzione delle 59
(Da http://www.nacso.org.na/SOC_profiles/conservancysummary.php, ottobre 2010). 95
conservancies nelle diverse regioni namibiane 3.4 Il Namibia Tourism Board e l’immaginario turistico sulla Namibia Le compagnie turistiche propongono il Paese come un "Eden incontaminato" dove le persone possono vedere un gran numero di elefanti, leoni e altre specie selvatiche, nonché gruppi di persone che presumibilmente continueranno a cacciare e raccoglier, come hanno sempre fatto. (Trad. dall’ingl. ns., E. Chambers, 1997) L’attenzione che il Governo namibiano ha riservato fin dall’indipendenza al turismo come risorsa economica, ha portato alla creazione di una serie di organi, alcuni legati direttamente Autore Sara Rizzi 68
al MET, altri invece enti non governativi, che funzionassero da rete per il controllo e lo sviluppo delle attività turistiche. Il
Namibia Tourism Board (NTB) dipende direttamente dal MET. Il Namibian Community Based Tourism Assistant Trust (NACOBTA)96 e la Namibia Association of Community Based Natural Resource Management Support Organisations (NACSO)97 sono nati invece rispettivamente nel 1995 e nel 1996 come enti non governativi. Se le ultime due organizzazioni sono preposte al corretto sviluppo e all’incentivazione del community-based tourism e al coordinamento delle iniziative di community based natural resource management; l’NTB è essenzialmente l’ufficio marketing della Namibia98. 96 Così si definisce il NACOBTA: "è un’organizzazione non-profit che sostiene le comunità nei loro sforzi per sviluppare e gestire imprese turistiche che diano profitto e che siano sostenibili." (Trad. dall’inglese nostra, da http://www.nacobta.com.na/what_we_do.php). 97 Così si definisce NACSO: "NACSO è un'associazione che raggruppa 15 organizzazioni non governative (ONG) e l'Università della Namibia. Lo scopo di NACSO è quello di fornire servizi di qualità per le comunità rurali che cercano di gestire e utilizzare le loro risorse naturali in modo sostenibile." (Trad. dall’inglese nostra, da http://www.nacso.org.na/index.php). 98 Per maggiori informazioni si visiti il sito www.namibiatourism.com.na.
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Tutti i tour operator italiani operanti in Namibia intervistati sul campo dichiarano appunto la scarsa pubblicizzazione dell’aspetto etnico e culturale della Namibia. Per un elenco complete dei tour operator intervistati, si veda in questo lavoro "Interviste svolte sul campo tra Giugno e Agosto 2010". Durante un’intervista con Claudia Lück, Responsabile del settore marketing del Namibia Tourism Board, sono venute alla luce delle considerazioni interessanti riguardo i progressivi cambiamenti di rotta intrapresi dal Governo in merito alla pubblicizzazione della Namibia. Claudia Lück, confermando le dichiarazioni di alcuni tour operator italiani in Namibia99, afferma che in questi anni il NTB ha puntato tutto il suo lavoro sulla pubblicizzazione di paesaggi e fauna. Non a caso infatti i due "brand" di punta sono stati fin ora le dune del Namib e il Parco Nazionale Etosha. Sostiene però che negli ultimi anni l’attenzione del Governo si sia spostata anche sull’aspetto etnico, sulla conservazione dell’ecosistema ma anche delle tradizioni culturali; di conseguenza ha modificato la rotta anche il NTB. Claudia Lück ci racconta che oggi stanno puntando sulle etnie namibiane, le "più famose", Himba e Boscimani. Si ritiene infatti che i turisti ormai non vogliano più solamente paesaggi ed animali, ma molti siano interessati ad un contatto profondo con le culture namibiane. Questo è ciò che sostiene in un’intervista anche Sem Shikongo, Direttore della Sezione Turismo del MET: Autore Sara Rizzi 69 "sebbene la tradizione e la cultura non siano la caratteristica principale del prodotto turistico namibiano, essendo il focus culturale nell’industria turistica basato sulla vendita di prodotti artistici ed artigianali; ora le ricerche mostrano che è in aumento il numero dei turisti interessati al contatto con la popolazione locale, ad avere maggiori informazioni riguardo i costumi e le tradizioni locali, ad assaggiare il cibo locale e a saperne di più riguardo la storia namibiana e le prospettive della Namibia nel mondo."100. 100 Intervista a Sem Shikongo, Director of Tourism of MET. In "Museum Matters", Dic. 2009, Museum Association of Namibia (MAN), pag. 8 (traduzione dall’inglese nostra). Queste richieste giungerebbero loro anche da diversi tour operator – per i quali l’NTB fa da punto di riferimento, coordinando anche la registrazione di tutte le attività turistiche del Paese - che non propongono più nei tour solamente le rotte tradizionali, ma anche viaggi più impegnativi alla ricerca del contatto con la popolazione. Tutti i tour operator italiani operanti in Namibia intervistati sul campo dichiarano appunto la scarsa pubblicizzazione dell’aspetto etnico e culturale della Namibia. Sostengono che, se nelle fiere turistiche europee i grandi tour operator – che generalmente commissionano loro la progettazione degli itinerari - fossero maggiormente sensibilizzati verso l’aspetto etnico, il
Una precisazione importante da parte di Claudia Lück è quella del target verso cui l’NTB punta:
community-based tourism e l’aspetto culturale della Namibia, per loro sarebbe molto più facile proporre tour particolarmente sensibili verso le comunità locali, verso le loro attività di CBT, verso progetti culturali come i living museum. Altro punto sul quale l’NTB punta molto è la presentazione della Namibia come Paese sicuro per il turista. Il Governo ha istituito una divisione della Polizia specializzata nella relazione con i turisti e nella risoluzione dei loro problemi. Lo scopo è quello di far sentire il turista protetto, ben accolto e ben voluto. "credo che nei prossimi quindici anni la Namibia diventerà una meta davvero molto popolare. Noi però non puntiamo sul turismo di massa, ma sui piccoli gruppi. La Namibia infatti è un Paese grande ma con molte problematiche ecologiche, ad esempio il problema dell’acqua. Se ci fosse un turismo di massa, contando la scarsa popolazione della Namibia, avremmo più turisti che namibiani. Il nostro Autore Sara Rizzi 70 marketing punta ai piccoli gruppi, alle famiglie, non alle comitive come in America o in Sudafrica. Siamo un paese desertico e con un equilibrio ambientale precario."101. 101 Traduzione nostra della nostra intervista del 15 Luglio 2010 a Claudia Lück, Head of Marketing del Namibia Tourism Board (NTB), presso sede dell’NTB, Whindhoek. 102 Nostra intervista del 20.07.2010 a Windhoek con un gruppo di turisti in partenza per un tour con HB Tour & Safari.
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J-D. Urbain, "L’idiota in viaggio. Storia e difesa del turista", Aporie, Roma, 2003. Si veda nota 23 a pag. 21. Questo è il target del turismo namibiano e si può allora comprendere come ormai la macchina dell’organizzazione turistica internazionale consideri la Namibia una meta d’
Tutte queste considerazioni combaciano in effetti con quelle dei diversi tour operator incontrati durante la ricerca di campo e con l’immaginario dichiarato dai turisti intervistati. La Namibia viene scelta generalmente perché è un Paese poco impegnativo, un inizio tranquillo per i profani dell’Africa. Per andare in Namibia non servono vaccinazioni obbligatorie, non sono presenti pandemie o malattie particolari, non è un Paese troppo povero che potrebbe provocare uno
Si può concludere quindi che l’immaginario del turista medio sulla Namibia, e per "medio" intendiamo il turista neofita dell’Africa, il viaggiatore non esperto e con interessi non settoriali o specifici su qualche aspetto particolare della Namibia, "l’idiota in viaggio" definito da Jean-Didier Urbain
difficile trovarne informazioni. Questo sicuramente non giustifica il turista che non si informa e non si interessa, ma se, come discusso nel capitolo 1, il viaggio è legato al tempo al libero, al relax, dobbiamo anche mettere in conto che non tutti i turisti siano interessati ad un viaggio avventuroso, di scoperta, o che abbiano precedentemente alla partenza studiato il luogo di destinazione. Dall’esperienza di campo svolta non è stato raro incontrare turisti che rivelassero di aver scoperto dove fosse posizionata geograficamente la Namibia solamente grazie ai video dell’aereo che mostravano la rotta!
elite. shock al visitatore, ma allo stesso tempo ha tutto ciò che si vorrebbe vedere in Africa, cioè animali che in Europa si possono vedere solamente allo zoo e paesaggi mozzafiato102. Questo è ciò che il turista immagina, questo è quello che porta turisti anche poco avventurosi a spingersi in Namibia. Del resto queste motivazioni sono state spinte dallo stesso marketing namibiano attraverso l’attenzione all’aspetto "sicurezza" e la presentazione dei "brand" di punta che rappresentano paesaggi e animali (le dune del Namib e il Parco Nazionale Etosha). 103, è quello di paesaggi ed animali perché solo quel tipo di immaginario è in grado di costruire. Se, come discusso nel Primo Capitolo, l’immaginario turistico è in gran parte legato all’immagine, riscontriamo che le immagini che il possibile turista può trovare riguardo la Namibia (su cataloghi, brochure, siti internet, ecc.) sono tutte legate al paesaggio e ai parchi naturali. Dalle diverse interviste realizzate, si riscontra altresì che i turisti non abbiamo idea della ricchezza culturale namibiana proprio perché è molto più Autore Sara Rizzi 71 104 104 Nostra intervista del 24 Luglio 2010 ad un gruppo di turisti italiani appena sbarcati all’aeroporto internazionale Hosea Kutako di Windhoek. 105 Il termine nasce nell’ambito dei safari come battute di caccia e si riferisce ai cinque animali più pericolosi da cacciare e quindi anche i più ambiti. Essi sono elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo. Figura 6: Immagini pubblicitarie della Namibia (Dal catalogo online di Cormorano Viaggi Tour Operator) Se la Namibia dunque viene immaginata solamente come luogo fantastico per deserti, dune, oceano, montagne, e per i
La crescente richiesta mondiale di ecoturismo e turismo culturale, ha fatto sì che il Governo namibiano favorisse la nascita di progetti legati alle comunità locali e si ponesse maggiore attenzione a zone del Paese e a minoranze fino a quel momento ben poco considerate, in particolare Himba e San. Secondo Johan Malan
big five105, questo è sicuramente frutto di una mancanza di informazione da parte dei turisti, ma anche di una scarsa possibilità di informazione a riguardo favorita in primis dallo stesso Governo namibiano. Ad oggi le cose stanno cambiando, ma sicuramente per modificare un immaginario ormai consolidato ci vogliono tempo e risorse. Durante la nostra stessa esperienza di campo abbiamo ricevuto e-mail da amici scioccati dalla nostra possibilità di accedere a internet dalla capitale di uno Stato africano, nonché dal nostro abbigliamento invernale! Facile immaginare che l’immaginario generale sull’Africa sia di un luogo dominato da savana, capanne, sole cocente e leoni. Autore Sara Rizzi 72 106, uno dei motivi per i quali il Governo ha puntato poco sulle diverse etnie namibiane, sia a livello turistico che sociale e politico, è la necessità di un’unità nazionale forte. Durante la guerra per l’indipendenza e successivamente durante la costruzione del nuovo Stato indipendente, il Governo avrebbe avuto maggiori interessi a creare un senso di unità nazionale piuttosto che a sottolineare ed incentivare le differenze o le problematiche dei diversi gruppi etnici. Di altro avviso è Ian Fairweather (2006) ritenendo che oggi il Governo sostenga ed incoraggi le rappresentazioni culturali dei diversi soggetti etnici presenti sul territorio nazionale, ma al motto di "unità nella diversità"; una "galleria di culture"107 ognuna distinta ma tutte armoniosamente coesistenti. Il Governo spingerebbe dunque per una forte identità culturale locale ed etnica (che si è visto per altro faccia bene all’economia turistica, quindi sicuramente da spingere e promuovere, visto che "le zone dei boscimani" e "le zone degli himba" attirano in Namibia oltre ai turisti, anche registi, fotografi ed operatori turistici), ma sempre e comunque sottostante ad un’unità culturale nazionale. Fairweather si rifà alla visione di Arjun Appadurai108: lo stato-nazione cerca di monopolizzare le risorse culturali dei propri cittadini facendole confluire in un "patrimonio culturale nazionale" e rendendo quest’ultimo parte della percezione nazionale di un comune passato. 106 J.S. Malan, "Peoples of Namibia", Rhino Publishers, 1995, pp. 5-6. 107 B. Kirshenblatt-Gimblett, "Destination Culture: Tourism, Museums and Heritage", London and Los Angeles, University of California Press, 1998. 108 A. Appadurai, "Modernity at Large. Cultural Dimensions of Globalization", Minneapolis, University of Minnesota Press, 1996. Citato in I. Fairweather, "Identity and Youth in Postcolonial Namibia" in: Journal of Southern African Studies, Vol. 32, N. 4, Heritage in Southern Africa (Dec. 2006), pp. 719-736. Sorge a questo punto una domanda spontanea: quanto questi discorsi si inseriscono all’interno del contesto namibiano e quanto invece si presta attenzione ultimamente alle minoranze poiché ci si è accorti che contribuiscono allo sviluppo economico di un particolare tipo di turismo etnico, naturalistico o culturale? Il Governo namibiano ha solamente di che guadagnare nel supporto alle comunità San per lo sviluppo di attività di community-based Autore Sara Rizzi 73 tourism
Sem Shikongo dichiara che il Governo namibiano ha riconosciuto il potenziale economico del turismo culturale e ha ad esso riservato una parte importante nel
Analizzando le parole di Sem Shikongo, si può notare già come il turismo legato agli aspetti culturali non sia neutro, non implichi solamente aspetti positivi ma necessiti invece di una tutela, di una riflessione profonda ancor di più in situazioni, come quelle delle minoranze namibiane dove questi progetti rappresentano spesso possibilità di sostentamento e sviluppo comunitario. Ci si può allora chiedere se sia così importante la pubblicizzazione etnica della Namibia, se possa essere utile ai fini dello sviluppo di alcune comunità o se possa essere un problema. Quanto può interessare un dato gruppo etnico all’"idiota in viaggio" (Urbain, 2003)? Quanto egli può comprendere di una visita presso un gruppo etnico? Cosa può portare? Cosa potranno pensare o domandarsi i soggetti visitati riguardo il suddetto turista? Tutte queste domande fanno parte dell’ampio dibattito che ruota intorno al
che siano in grado di auto sostenersi e auto svilupparsi. L’identità dei differenti gruppi etnici in Namibia è davvero molto forte, ma allo stesso tempo essa è uno Stato in divenire, che si sta sviluppando e si sta facendo conoscere all’interno di un’"immagine namibiana", di una "unità nella diversità" come sostiene Fairweather. National Tourism Policy: «Il Governo si impegnerà a promuovere ed incoraggiare l’esperienza delle culture, delle tradizioni e dei costumi locali. Garantirà inoltre che la cultura non verrà sfruttata in modo inopportuno.» (para. 5.1.4., traduzione dall’inglese nostra). community-based tourism, al turismo culturale e all’ecoturismo, alle proposte come i living museum. Figura 7: Immagini dal sito del Namibia Tourism Board (www.namibiatourism.com.na/gallery) Autore Sara Rizzi 74 3.5 Il turismo italiano in Namibia Gli Italiani residenti in Namibia sono circa duecento, impegnati per lo più nel settore turistico o delle costruzioni. Pensiero comune di chi è da diverso tempo che vive in Namibia è che sia molto difficile tornare agli spazi angusti delle città italiane dopo aver sperimentato gli spazi sconfinati dell’Africa. Dalle interviste svolte emerge la generale tranquillità della situazione namibiana: la Sig.ra Ricoveri, Console Onorario dell’Italia in Namibia racconta di essersi trasferita con il marito, ex diplomatico in Sud Africa, proprio per la tranquillità socio-politica del Paese, per i suoi ottimi servizi socio-sanitari e per la bellezza dei luoghi.
Oltre ai residenti italiani la Namibia, soprattutto nei tre mesi che sopra l’Equatore sono estivi (da giugno a settembre) ed in Namibia sono invernali e piuttosto freddi, è popolata da turisti italiani. Tra il 2005 e il 2006 ha conosciuto un incremento del 9,92% nel flusso di arrivi turistici dall’Italia, mentre tra il 2006 e il 2007 del 7%
109. L’Italia rappresenta il terzo paese europeo, dopo Inghilterra e Germania, per numero di turisti all’anno in Namibia (Tabella 2). 109 Dati da "Summary Analysis 2006" del Ministry of Environment and Tourism of Namibia (www.met.gov.na). 110 Osservatorio Nazionale sul Turismo Italiano – Unioncamere/Isnart, "Le vacanze italiane nel 2005 e previsioni per l’inverno 2006. II report. Indagine sui comportamenti turistici degli italiani", gennaio 2006. Attraverso interviste a diversi tour operator, sappiamo che i turisti italiani sono generalmente amati e ben voluti. Altra loro caratteristica è che difficilmente optano per un tour in campeggio, ma preferiscono
Torniamo all’argomento del capitolo precedente e riflettiamo sui canali di influenza della scelta della destinazione turistica per gli Italiani. Abbiamo accennato all’importanza del marketing via web, nelle fiere turistiche, nei cataloghi delle agenzie di viaggio, nei racconti e nelle foto di amici che han visitato un luogo prima di noi e che fanno indirettamente opera di marketing. Secondo l’Osservatorio Nazionale sul Turismo Italiano (ONT)
(37,6%) e il passaparola di parenti ed amici (36,8%). Questi dati confermano come sia proprio la soddisfazione del cliente ad influenzare la scelta di un turista su tre. Altresì importante risultano i canali di intermediazione (agenzie di viaggio, cataloghi, siti web) tra i quali spicca internet. Quest’ultimo infatti viene scelto da un numero sempre maggiore di turisti per reperire informazioni e per documentarsi, dal 4,7% del 2004 al 5,3% del 2005. Io stessa ho utilizzato per ricercare passati o futuri viaggiatori in Namibia, il metodo della ricerca via web. Molti siti internet hanno infatti spazi appositi per il racconto dei propri viaggi e ho scoperto che molti turisti italiani sono ben contenti di poter raccontare il loro viaggio in Namibia. Dallo studio dell’ONT si nota come nelle motivazioni della scelta della località di vacanza per i turisti italiani si trovi al primo posto la bellezza del luogo (34,7%). Questi studi svolti a livello nazionale in Italia, si ritrovano anche nei discorsi di marketing già fatti nel capitolo precedente parlando del
I vari tour operator italiani in Namibia precisano che il turista italiano è davvero eterogeneo. Si passa cioè da colui che contatta direttamente loro per un viaggio
lodge o sistemazioni più comode. Molti ultimamente stanno scegliendo la Namibia come meta per il viaggio di nozze accostandola magari ad una settimana di relax sulle isole del Mozambico, generalmente agli arcipelaghi delle isole Quirimbas o delle Barazuto. 110 i due canali di influenza maggiori sulla scelta della meta turistica sono l’esperienza personale Autore Sara Rizzi 75 Namibia Tourism Board e dell’immaginario turistico. Il turista italiano sceglie la propria meta di vacanza, che sia in Italia o in Africa, sulla base dell’esperienza propria o altrui, cioè del sentito dire, del racconto di altri e sulla base dell’immaginario naturalistico e di bellezza del posto. self-drive e quindi si è già informato riguardo il Paese che vuole visitare, ha già indicato luoghi che gli interessa vedere ed è magari già un minimo esperto di viaggi ed intraprendente; al turista che contatta un grande tour operator italiano che gli organizzerà tutto il viaggio nei minimi dettagli111. I diversi tour operator presenti in Namibia intervistati affermano che spesso è difficile soddisfare il turista poiché egli sceglie erroneamente un viaggio propostogli, anzi "vendutogli", senza neanche studiarlo, senza capire neanche ciò che andrà a vedere, quindi spesso si ritrova catapultato in Namibia all’interno di un viaggio con caratteristiche per lui sbagliate. Di questo ritengono responsabili in buona parte i grandi tour operator italiani che il più delle volte non conoscono il Paese ed il tipo di viaggio che stanno proponendo. L’itinerario viene fornito loro dal tour operator presente in Namibia e poi spesso, viene 111
modificato per "far più gola al turista". Quindi capita che le persone interessate all’aspetto etnico si ritrovano in un viaggio completamente dedicato all’aspetto paesaggistico e viceversa. Tutti i tour operator italiani operanti in Namibia intervistati sul campo dichiarano la scarsa pubblicizzazione dell’aspetto etnico e culturale della Namibia. Sostengono che, se nelle fiere turistiche europee i tour operator fossero maggiormente sensibilizzati verso l’aspetto etnico, il
Gli italiani che abbiamo incontrato nel corso della nostra ricerca si sono dimostrati anch’essi eterogenei. Avremo modo nel capitolo successivo di conoscere, attraverso le interviste, alcuni di essi e di analizzare la loro idea pregressa sulla Namibia così come il loro nuovo immaginario in seguito al viaggio. Vedremo che per molti esso non è minimamente cambiato. Autore Sara Rizzi 77
Ci riferiamo qui al testo "The Golden Hordes" di Turner e Ash, 1975. I due autori sostengono che il turista stia al centro di un mondo rigorosamente circoscritto. Egli viene condotto verso luoghi ritenuti meritevoli di essere visitati e viene sollevato da ogni responsabilità e scelta, nonché protetto da ogni tipo di problema. Autore Sara Rizzi 76 community-based tourism e l’aspetto culturale della Namibia, per loro sarebbe molto più facile proporre tour particolarmente sensibili verso le comunità locali, verso le loro attività di CBT, verso progetti culturali come i living museum. Nazionalità 2005 2006 2007 Incremento percentuale 2006 -2007 AFRICA (tot) 601737 628588 690148 10% Sud Africa 230949 239886 250038 4% Angola 281365 278058 336045 21% Botswana 22333 24720 25649 4% Zambia 35782 45203 40709 -10% Zimbabwe 22765 30623 26764 -13% Altri Africa 8543 10098 10943 8% EUROPA (tot) 146361 166972 194605 17% Germania 61222 68214 80418 18% Regno Unito 20978 24736 28214 14% Italia 8557 9406 10102 7% Francia 9959 12000 15019 25% Scandinavia 6327 7305 8446 16% Austria 5160 5278 6198 17% Olanda 11569 12196 13282 9% Svizzera 8363 8921 10110 13% Spagna 3492 4467 4968 11% Portogallo 2753 3880 5027 30% Belgio 3240 3753 6400 71% Altri Europe 4741 6816 6421 -6% ALTRI (tot) 29790 37784 44161 17% Australia 4274 4645 5783 24% USA 11979 16325 19342 18% Altre Nazioni 13537 16814 19036 13% TOTAL 777888 833344 928914 11% Tabella 4: Numero di turisti per nazionalità negli anni 2005, 2006 e 2007 (Dati da "Tourists Arrival Tables 2007", Ministry of Environment and Tourism – Republic of Namibia, Windhoek, 2007. Reperibile anche nel sito internet del Namibia Tourism Board: www.namibiatourism.com.na) Autore Sara Rizzi 78 Capitolo 4 I Living Museum San I Living Museum presenti oggi in Namibia sono cinque, creati con il supporto della Living Culture Foundation Namibia (LCFN): Ju/’Hoansi San Living Museum; The Living Museum of the Mafwe; The Living Museum of the Damara; The Living Museum of the Nharo San; The Living Hunter’s Museum of the Ju/’Hoansi. Altri due sono in fase di realizzazione, il Kavango Living Museum ed il Living Museum of the Khwe San. The Living Museum of the Kavango
The Living Museum of the Mafwe
The Living Museum of the Khwe San
Ju/’Hoansi San Living Museum
Living Hunter’s Museum
of the Ju/’Hoansi
The Living Museum of the Damara
The Living Museum of the Nharo San
Figura 8: localizzazione dei Living Museum in Namibia realizzati con l'aiuto di LCFN (creazione nostra su base dalla mappa di LCFN: http://www.lcfn.info/en/infomap/info-map).
Tra questi, tre sono gestiti da popolazione San: Ju/’Hoansi San Living Museum; The Living Hunter’s Museum of the Ju/’Hoansi; The Nharo Living Museum
Autore Sara Rizzi 79 112. Come si può notare anche dal nome, chi lavora nei primi due parla principalmente dialetto Ju/’Hoansi, mentre l’ultimo – unico progetto di LCFN che si trova su terra privata e lontana dalle terre d’origine di chi vi lavora – è gestito da San parlanti dialetto Nharo. 112 Gli altri Living Museum sono gestiti rispettivamente da popolazione Damara e Mafwe. I due Living Museum in fase di realizzazione coinvolgono invece popolazione Kavango e Khwe San (www.lcfn.info).
113 Cause e motivazioni sul sito www.lcfn.info. La notizia ci è stata data da Gianluca Massalini, coinvolto direttamente nel progetto attraverso la sua associazione Scintille (www.scintille.org).
114 Nostra intervista del 7 Luglio 2010 presso il Ju/’Hoansi San Living Museum.
La nostra ricerca, oltre ai incontrati a Windhoek, si è svolta principalmente tra il Ju/’Hoansi San Living Museum di Grashoek ed Living Museum of the Nharo San nei pressi di Windhoek. Ai tempi della nostra ricerca quest’ultimo risultava aperto da pochi mesi e sembrava in fase di avvio e sviluppo positivo. In seguito però ad alcuni problemi che svilupperemo ed analizzeremo successivamente, ci è stato comunicato che il progetto è stato chiuso ad ottobre 2010
Essi infatti, così come altri in diverse zone della Namibia, sono inseriti all’interno di una situazione sociale particolare e difficile, ma anche all’interno di un mercato turistico che ha un preciso immaginario riguardo i San. Essi, consci della pubblicità che a più riprese è stata fatta loro da antropologi, registi e naturalisti, ne hanno approfittato e preso spunto per poi sviluppare una serie di attività e proposte che rispondessero a quell’interesse turistico creatosi (Hitchcock, 1997; Suzman, 2001; Aime, 2008). Questi progetti turistici rispondono ad un’esigenza economica seria da parte della comunità San. Il progetto del Ju/’Hoansi Living Museum ad esempio, va a dare lavoro e conseguente denaro a diverse persone della comunità di Grashoek. Una giovane guida del living Museum che abbiamo incontrato, ci ha raccontato di aver deciso di lavorarvi per circa un anno per poter raccogliere il denaro necessario per terminare la scuola a Tsumkwe
Humphrey, Wassenaar, 2009). Entreremo ora nel dettaglio di cos’è un living museum, che idea ne ha LCFN, che significato ha per i San namibiani.
113. Questo risulta, a nostro giudizio, un ulteriore spunto per poter analizzare e verificare le conseguenze, i pro ed i contro di questi progetti. 114. Il Living Musem è un esempio di community-based tourism nel quale sono coinvolte diverse famiglie della comunità di Grashoek, ma anche la concervancy di N#a-Jaqna (Hitchcock, 1997; Suzman, 2001; Autore Sara Rizzi 80 4.1 Living Culture Foundation Namibia Living Culture Foundation Namibia (LCFN) nasce dall’idea di Werner Pfeifer, namibiano di origine tedesca. All’interno della nostra ricerca in Namibia abbiamo incontrato il signor Pfeifer presso alcuni Living Museum ma anche a Windhoek insieme ad altri membri della Fondazione e abbiamo avuto modo di farci raccontare come è nato il progetto, qual è l’obiettivo, come si sviluppa, come è cresciuto negli anni e quali risultati ha dato115. 115 Nostri incontri con Werner Pfeifer: 21 Giugno 2010 presso il Nharo Living Museum nelle vicinanze di Windhoek, presenti anche Gianluca Massalini di Bush Culture Experience ed il Prof. F.O. Becker della University of Namibia; 2 Luglio 2010 presso la sede di Windhoek di WIMSA (Working Group of Indigenous Minorities in Southern Africa), presenti anche Gianluca Massalini e Ben Begbie-Clench, cooredinatore regionale di WIMSA.
116
Gli open air museum si possono definire come raccolte di oggetti edilizi disponibili ad una visita pubblica, che generalmente appartengono alla tradizione popolare e all’epoca preindustriale. Essi rappresentano un’alternativa possibile e sostenibile per tramandare e conservare la conoscenza della cultura e della tecnologia di diverse epoche e diversi luoghi geografici. Non sono solamente luoghi di conservazione ma anche parti attive nei processi didattici e di divulgazione (Albatici, Dalprà, Frattari, 2008). Werner Pfeifer dopo alcuni anni di studio in Germania, ha lavorato presso diversi
Werner fornì il supporto logistico e di marketing, consigli utili su come gestire il rapporto con il turista e aiuto nelle richieste formali di permesso ed appoggio alla
presentazione alla comunità circostante e alla
open-air museum116 tra Danimarca, Germania e Regno Unito. Trovando questa nuova modalità di studio, di esemplificazione, di spiegazione e di proposta della storia molto interessante, pensò di riproporla anche in Namibia. Qui egli già conosceva diverse comunità san della regione di Otjozondjupa ed in particolare la comunità Ju/’Hoansi di Grashoek, nella conservancy di N#a-Jaqna, che si dimostrò subito interessata alla sua proposta. concervancy e alle comunità circostanti. Come abbiamo esposto nel sottocapitolo 2.3 riguardo il progetto di collaborazione tra tour operator ed una famiglia owambo, la comunicazione e la Autore Sara Rizzi 81 concervancy è essenziale. Gianluca Massalini ci ha raccontato infatti che inizialmente la N#a-Jaqna concervancy non era molto favorevole a questo progetto, poiché non erano ben chiari i costi né le conseguenze o i risultati. Il living museum si è poi rivelato un’attività ecosostenibile e piuttosto redditizia. Queste caratteristiche hanno fatto sì che cessasse la diffidenza da parte delle autorità tradizionali117 e dei villaggi attorno a Grashoek. Nel 2004 venne aperto il Living Museum of the Ju/’Hoansi San in seguito ad un lungo lavoro di formazione, di presentazione del progetto, di realizzazione delle strutture base necessarie – quali capanne, vestiti di pelle, cartelli segnaletici per i visitatori – e di pubblicizzazione del living museum. 117 Nel 1995 il Governo Namibiano promulgò il Traditional Authorities Act, un documento nel quale viene riconosciuta l’importanza delle pratiche tradizionali per ogni comunità indigena all’interno della Namibia. Ogni comunità può eleggere delle autorità tradizionali garanti del rispetto della legge nazionale e di quella locale o comunitaria decisa dalla comunità stessa. È infatti quest’ultima a prendere decisioni sulla gestione della terra e su eventuali aperture di nuove attività ("Traditional Authority Handbook", First Peoples Worldwide e WIMSA,2001). La conservancy di N#a Jaqna ad esempio ha a capo un presidente, un suo vice, un tesoriere ed un segretario. La concervanzy poi è divisa in quattro distretti con a capo ciascuno un presidente ed un segretario (WIMSA, "Report on Activities April 2004 to March 2005). 118 Nostra intervista a Werner Pfeifer del 21 Giugno 2010 presso il Nharo Living Museum nelle vicinanze di Windhoek, presenti anche Gianluca Massalini di Bush Culture Experience ed il Prof. F.O. Becker della University of Namibia. 119 Dal sito internet di LCFN: www.lcfn.info. Da questa iniziativa prese vita la
Gli obiettivi principali di LCFN sono:
-
Living Culture Foundation Namibia (LCFN), «un’organizzazione non profit – spiega Werner – formata da sei persone con idee comuni. La mia in particolare è che la Namibia sia una terra ricchissima di cultura.»118. La protezione o il recupero della cultura tradizionale. LCFN supporta le comunità, soprattutto nelle aree comunitarie, nella protezione e nella ripresa della propria cultura tradizionale e della propria identità culturale. - La lotta contro la povertà attraverso la creazione di progetti sostenibili rivolti al turismo che coinvolgano la comunità locale, uno di questi è il living museum. - Favorire un dialogo interculturale attraverso i progetti, tra namibiani e non-namibiani così come tra i differenti gruppi linguistici namibiani.119 Werner Pfeifer racconta che non è stato facile per LCFN proporre alle comunità un rapporto di collaborazione ed aiuto privo di denaro: Autore Sara Rizzi 82 «Noi abbiamo detto no, non vi diamo denaro. Per questo progetto potete fare tutto con le cose che avete e che sapete usare. Questo li ha portati ad una grande consapevolezza delle proprie capacità ed inoltre li ha resi indipendenti. Molti San dell’ex Bushmanland infatti dipendono dagli aiuti del Governo e della Concervancy.».120 120 Nostra intervista a Werner Pfeifer del 21 Giugno 2010 presso il Nharo Living Museum nelle vicinanze di Windhoek.
121 Dal sito internet di LCFN: www.lcfn.info.
Come abbiamo già accennato molti San dello Tsumkwe District dipendono dagli aiuti economici governativi e questo li colloca sempre di più ad un livello ancora basso della scala sociale. Inoltre questa costante dipendenza porta ad una generale indolenza ma anche ad un atteggiamento passivo e autodistruttivo che, come accennato, ha portato a numerosi problemi di alcolismo. La filosofia di LCFN consiste nel dare aiuto e supporto a comunità locali che lo richiedano, che siano motivate e che vogliano realmente mettere in pratica un progetto autogestito che porti benefici. Realizzare di poter gestire un progetto turistico, con tutte le problematiche che inevitabilmente si presentano non è facile, così come non lo è il comprendere che le tradizioni che per alcuni San possono sembrare contrarie alla modernizzazione o legate al passato, possano interessare così tanto i visitatori. Attraverso questa consapevolezza i membri dei diversi gruppi linguistici hanno la possibilità di integrare positivamente e creativamente le loro tradizioni all’interno del panorama dell’odierna moderna Namibia
LCFN collabora con Scintille, una Onlus italiana fondata da Gianluca Massalini, amico di Werner e amante della Namibia. Questa Onlus raccoglie fondi per i progetti del Living Museum, per la realizzazione di cartelli stradali, ricevute e materiale di comunicazione per i living museum. Autore Sara Rizzi 83
121. 4.2 I Living Museum San Lavorare al living museum ci permette di guadagnare per i nostri figli e di non stare troppo lontane da casa. (Nostra intervista a donne Ju/’Hoansi del living museum di Grashoek) Secondo LCFN che, lo ricordiamo, ha collaborato alla realizzazione di tutti i Living Museum delle diverse etnie presenti in Namibia, un Living Museum è la ricostruzione di un accampamento realizzato nel modo in cui veniva realizzato prima dell’influenza europea. All’interno gli attori presentano la loro cultura in modi differenti, attraverso vestiti tradizionali, attività tipiche, artigianato, ecc.. «Vorremmo che questa fosse un’istituzione educativa - sostiene Werner Pfeifer -, un modo interessante e coinvolgente per far scoprire le antiche tradizioni. È inoltre un’istituzione seria, legata alla tradizione e all’assoluta autenticità di ciò che viene presentato, non c’è antico e moderno mischiato, non è uno "Show di Topolino"»122. 122 Nostra intervista a Werner Pfeifer del 21 Giugno 2010 presso il Nharo Living Museum nelle vicinanze di Windhoek.
123 Dal sito internet di LCFN: www.lcfn.info.
124 Nostra intervista del 20 Luglio 2010 presso il Owela Museum di Windhoek.
Secondo LCFN i Living Museum in Namibia sono importanti poiché la colonizzazione ha portato grandi cambiamenti in ogni gruppo linguistico namibiano che vi sia entrato in contatto; di conseguenza la cultura africana si è mescolata con tratti ed elementi europei. Questo meticcia mento è una caratteristiche importante dell’attuale cultura namibiana, ma hanno fatto anche sì che diversi tratti tradizionali andassero persi. I Living Museum sarebbero allora un mezzo per ricordare, imparare e ricostruire il proprio bagaglio culturale sia per la comunità che vi lavora all’interno, sia per chi li visita
Antje Otto
presentare la parte migliore della Namibia, ma queste attività culturali non devono perdere di vista il
All’interno del living museum lavora solitamente una comunità, cioè un gruppo ampio di persone, uomini, donne e ragazzi che con questo lavoro aspirano al sostentamento delle proprie famiglie e della comunità all’interno della quale il living museum sorge. Esso dunque può essere considerato un’istituzione educativa, poiché si realizza un passaggio di conoscenze e tecniche tra generazioni diverse – riprendendo le parole di Werner Pfeifer – e anche un esempio di
123. 124, antropologa responsabile dell’Owela Museum - il museo etnografico di Windhoek - e curatrice di diverse esposizioni culturali, sostiene che i Namibiani di oggi e soprattutto i residenti nelle città non sappiano quasi nulla delle tradizioni o dell’artigianato dei loro antenati. Le esposizioni dell’Owela Museum sarebbero quindi rivolte in primis ai namibiani. Ella ritiene che il turismo possa essere uno stimolo al miglioramento, per Autore Sara Rizzi 84 target principale, cioè i Namibiani. community-based tourism. Tutta la comunità infatti si impegna a portare avanti il progetto, le decisioni vengono prese collettivamente e i guadagni vengono equamente distribuiti125. 125 Durante la nostra permanenza in Namibia LCFN in collaborazione con il Dipartimento di Geografia della University of Namibia, stava organizzando una lezione che avrebbe dovuto tenere Cwi Nqani, guida storica del Living Museum di Grashoek ed in quel momento guida ed istruttore del Living Museum of the Nharo San, riguardo il progetto del Living Museum come forma di community-based tourism. Sappiamo inoltre che diverse volte la Dott.ssa Beatrice Sandelowsky, archeologa e storica della University of Namibia, ha portato i propri studenti a diversi Living Museum come spunto di riflessione e considerazione su questioni e argomenti storico-culturali. 126 Nostra intervista a Werner Pfeifer del 21 Giugno 2010 presso il Nharo Living Museum nelle vicinanze di Windhoek.
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Nostra intervista del 20 Luglio 2010 ad Antje Otto, responsabile dell’Owela Museum di Windhoek. In modo molto chiaro, sia LCFN che alcuni San del Living Museum di Grashoek da noi incontrati, spiegano che quello è per loro un lavoro. Il living museum è a tutti gli effetti un museo a cielo aperto con una serie di attori operanti al suo interno. «La cosa importante - sostiene Werner Pfeifer – è che chi arriva qui come visitatore possa capire bene la realtà. Attraverso bacheche illustrative, ma anche attraverso le stesse guide San, il visitatore comprende che loro non vivono così oggi. Non vivono oggi in questo modo tradizionale e non spiegarlo sarebbe una bugia, un falso.»126. Stessa opinione ci è stata espressa da Antje Otto: «Questi progetti di riproposta della tradizione non hanno nulla di sbagliato in teoria, ma deve essere ben chiaro che è un lavoro e che loro non vivono più così oggi. È un lavoro in cui viene riproposta la tradizione.»
oggi. Apprezza molto il fatto che in alcuni living museum venga mostrato anche il villaggio odierno, non solo quello tradizionale128.
127. Antje Otto sostiene inoltre che sia importante anche mostrare come vivano questi gruppi Autore Sara Rizzi 85 128 Proprio Antje Otto ha realizzato nel 2010, insieme ad Ute Dieckmann , un’esibizione presso il National Museum of Namibia dal titolo "The San Image and Identities", nella quale viene mostrata la vita odierna della comunità San di Tsinsabis. Questa esibizione è stata ideata e creata insieme a diverse comunità San. «Abbiamo voluto mostrare – sostiene Antje Otto – come alcune comunità San si sono spostate verso il presente, come sono ora rispetto al passato, anche per quanto riguarda la cultura materiale» (Nostra intervista del 20 Luglio 2010 presso l’Owela Museum, Windhoek). Riteniamo per altro che queste categorie di "moderno" e "tradizionale" siano talvolta fuorvianti, dal momento che creano separazione netta tra un passato ed un presente che invece all’interno di questi luoghi, così come all’esterno, nella vita quotidiana di queste persone, entrano costantemente in contatto e si intersecano. Si mescolano elementi del vivere oggi ad usanze tipiche della tradizione. Figura 9: nostre fotografie dei cartelli segnaletici dei Ju/’Hoansi San Living Museum e Nharo Living Museum. In basso a sinistra bacheca esplicativa posta all’ingresso del Nharo Living Museum.
Il Ju/’Hoansi San Living Museum nasce nel 2004 come primo progetto realizzato in Namibia da LCFN. Il villaggio di Grashoek si trova all’interno della N#a-Jaqna Concervancy, pochi chilometri oltre il confine ovest della
Sono impegnate nell’attività del living museum circa sessanta persone tra uomini, donne e ragazzi, divisi in sei gruppi. Essi sono principalmente abitanti del villaggio di Grashoek, ma non solo.
Autore Sara Rizzi 86 concervancy e a sei chilometri dalla strada statale C44. L’attuale Tsumkwe District, ex Bushmanland, è infatti diviso in due concervancy, Nyae Nyae ad Est e N#a-Jaqna a Ovest, in quest’ultima si registra un maggior numero di residenti San !Xun, Khwe e alcuni Ju/’Hoansi. Di questi ultimi la maggioranza risiede nella Nyae Nyae concervancy (Hitchcock, 1997; Suzman, 2001; Humphrey e Wassenaar, 2009; Dieckmann e Otto, 2010). Legenda:
• insediamento lodge
campeggio gestito da comunità locale ufficio della concervancy
campeggio con attività di caccia strada principale C44
Figura 10: Mappa della
I nostri interlocutori - in accordo con lo studio svolto da Nyae Nyae Development Foundation of Namibia e WIMSA (2009)
concervancy di N#a-Jaqna con i principali centri abitati e le attività turistiche. Evidenziato da noi il villaggio di Grashoek. Da Humphrey E., Wassenaar T., 2009, pag. 31. Autore Sara Rizzi 87 129 – ci raccontano che c’è un business manager che coordina l’intero gruppo ed un craft manager; entrambi fanno parte di un organo più ampio, il Quality Control Group, che prende le decisioni riguardo ogni questione del living museum e delle persone che vi lavorano130. Il living museum offre anche la possibilità di campeggiare ai visitatori. L’intero ricavato viene diviso per il 90% tra le persone impegnate nelle attività, mentre un 10% viene utilizzato per pagare una tassa alla concervancy e per accantonare denaro per eventuali interventi o investimenti per le attività del living museum. 129 Humphrey E., Wassenaar T., "Tourism Development Plan. Nyae Nyae and N#a-Jaqna Concervancies.", Nyae Nyae Development Foundation of Namibia and WIMSA, September 2009. Questo studio ci è stato fornito dal Coordinatore Regionale di WIMSA, Ben Begbie-Clench durante il nostro incontro a Windhoek del 2 Luglio 2010. Lo studio ha come obiettivo quello di raccogliere, esporre, analizzare e pianificare le varie iniziative turistiche presenti nelle due concervancy. 130 Nostra intervista svolta tra il 6 ed il 9 Luglio 2010 presso lo Ju/’Hoansi Living Museum di Grashoek con alcuni San e turisti presenti. Figura 11: Mappa del Living Museum of the Ju/’Hoansi San di Grashoek. Dal sito di LCFN (http://www.lcfn.info/en/ju-hoansi/ju-hoansi-home) Nel 2008 sono giunti a Grashoek circa 2.364 visitatori e di questi 788 hanno campeggiato presso il living museum, portando questa attività ad essere la principale attrazione turistica e culturale della
ricavo medio per visitatore di 167 N$. Del totale, circa 400.000 N$ derivano dalla vendita di artigianato (Humphfrey e Wassenaar, 2009).
La vendita di artigianato, archi, frecce, coltelli, collane, bracciali è molto sviluppata. Sostengono Humphfrey e Wassenaar (2009) nel loro studio:
concervancy (Humphfrey e Wassenaar, 2009). Nel 2008 si stima che il living museum abbia guadagnato dalle attività offerte e dal camping circa 394.838 N$ con un Autore Sara Rizzi 88 «Il successo delle vendite di artigianato a Grashoek, che è direttamente collegato con il successo complessivo del prodotto turistico e con il volume di turisti che riceve, ha chiaramente illustrato la forte domanda, da parte dei visitatori, di un artigianato di alta qualità ed autenticità che abbia un collegamento diretto con gli specifici siti visitati.»131. 131 Humphrey E., Wassenaar T., "Tourism Development Plan. Nyae Nyae and N#a-Jaqna Concervancies.", Nyae Nyae Development Foundation of Namibia and WIMSA, September 2009, pag. 34 (trad. dall’ingl. ns.) La produzione di questi oggetti è strettamente legata a chi solitamente li utilizza o li utilizzava: tutti gli strumenti per la caccia sono realizzati dagli uomini, mentre tutti i monili dalle donne. I visitatori vengono coinvolti nella realizzazione dei prodotti artigianali utilizzando i materiali che si trovano naturalmente nel bush. Per i bracciali, le collane e le decorazioni da applicare alle pelli, si utilizzano ad esempio semi vari e bacche essiccati, uova di struzzo – bucati attraverso un punteruolo - e come fili, tendini di animali. Allo stesso modo gli archi vengono realizzati spesso insieme ai turisti e sono creati con un legno molto flessibile e fibre vegetali unite provenienti da alcuni baccelli. Figura 12: Fotografie nostre. Creazione di un arco al Living Museum of the Ju/’Hoansi San. A sinistra un turista toglie la corteccia ad un ramo; a destra un attore san estrae da un baccello la fibra che formerà la corda dell'arco.
Lo Ju/’Hoansi San Living Museum propone diverse attività, quali danze, giochi, trekking nel bush e osservazione di tracce di animali, fabbricazione di archi e frecce con materiale naturale, ma offre anche la possibilità di visitare l’"odierno" villaggio di Grashoek. Durante la nostra ricerca, siamo stati partecipanti ed osservatori di una visita di alcuni turisti olandesi al villaggio e alla scuola di Grashoek e successivamente al "villaggio tradizionale". La nostra guida San del living museum, Mathias Erastus Kamashe, ci ha mostrato la scuola di Grashoek, con i suoi pannelli solari e la pompa dell’acqua, alcune case odierne in fango, legno e lamiera ed i relativi proprietari vestiti in abiti occidentali finché, giunti al momento della visita del living museum, Mathias ci ha detto «ora andiamo a visitare insieme il villaggio tradizionale e le sue attività che sono ben diverse da quelle odierne»
Autore Sara Rizzi 89 132. In questo modo e con questa semplicità e chiarezza d’esposizione, si possono chiarire i dubbi dei turisti, nel caso ci fosse ancora qualcuno che immagina che i San ancora oggi vivano di caccia e raccolta in modo nomade. Figura 13: Fotografie nostre. Attività all'interno dello Ju/'Hoansi San Living Museum. Sopra da destra, creazione di una lancia da parte di un turista; prove di tiro con gli archi creati; in basso, guida san accompagna dei turisti al villaggio odierno di Grashoek. 132 Nostra visita allo Ju/’Hoansi San Living Museum del 7 Luglio 2010. Autore Sara Rizzi 90 Figura 14: Fotografie nostre. In alto a sinistra un’abitazione nel villaggio di Grashoek e a destra una capanna all’interno del living museum. Accanto a sinistra le abitazioni in muratura messe a disposizione dalla fattoria Trümper per i Nharo del Nharo Living Museum.
Figura 15: Fotografie nostre. A sinistra la scuola di Grashoek con la pompa dell'acqua e a destra i pannelli fotovoltaici posti nel cortile della scuola.
Il secondo living museum sul quale ci siamo concentrati, il Living Museum of the Nharo San, ha una storia decisamente diversa e, come detto precedentemente, è stato da poco tempo chiuso, quindi ne parleremo al passato in attesa di spiegare nei successivi sottocapitoli le motivazioni di tale chiusura. Prima di tutto è posizionato in una zona vicina alla capitale Windhoek, ma lontana dai luoghi originari di residenza dei Nharo San. In secondo luogo il living museum si trova su terra privata, appartenente alla fattoria della famiglia Trümper. La storia di questo progetto ci è stata raccontata da Werner Pfeifer, ma anche da Cwi Nqani (detto Henry), la guida del Living Museum of the Nharo San e precedentemente una delle prime guide del Ju/’Hoansi San Living Museum
Autore Sara Rizzi 91 133. Per il Living Museum Nharo, così come per gli altri creati dopo quello di Grashoek, i San che in quest’ultimo lavoravano, sono diventati istruttori e maestri per altri San o per altre etnie che intendessero aprire un living museum. Così è stato anche per Cwi Nqani che, per motivi famigliari e per la sua esperienza all’interno dello Ju/’Hoansi Living Museum, aveva deciso di trasferirsi al Living Museum of the Nharo San. 133 Nostra visita al Living Museum of the Nharo San il 21 Giugno 2010 alla presenza inoltre di Werner Pfeifer, Gianluca Massalini e il professor Franz Otto Becker della University of Namibia. Un’altra visita si è svolta tra il 2 e il 5 Luglio 2010. In quest’ultima abbiamo avuto modo di approfondire l’osservazione e la conoscenza della piccola comunità che gestiva il Living Museum of the Nharo San. 134 Nostra intervista a Sonja Ivanek-Kirchner, etnografa tedesca residente in Namibia, membro di LCFN e proprietaria del tour operator Arifu Tour. Intervista del 5 Luglio 2010 a Windhoek, svoltasi presso la sede di LCFN di ritorno dal Living Museum of the Nharo San. L’intervista voleva proprio precisare alcune idee e considerazioni derivanti dalla visita e dalle interviste con la comunità del living museum. «Non si sarebbe potuto prendere qualcuno a caso per iniziare la nuova attività del Living Museum of the Nharo San – sostiene Sonja Ivanek-Kirchner, etnografa e membro di LCFN -, ma Cwi Nqani era l’uomo perfetto: è un buon bushman e anche un ottimo attore. Egli ha capito perfettamente l’idea e lo scopo del living museum e ci mette tutto il suo impegno.»134 Qui dunque si sono incontrati per lavorare insieme Ju/’Hoansi e Nharo. Questi ultimi provengono soprattutto dalla zona intorno a Gobabis, nella regione Omaheke e negli anni passati, ma molti ancora oggi, erano impiegati per lo più nelle fattorie Herero (Suzman, 2000; Suzman, 2001). La fattoria Trümper garantiva ai Nharo una terra sulla quale poter realizzare il living museum ed un piccolo campeggio per i turisti. Essi inoltre fornivano Autore Sara Rizzi 92
l’acqua per i San ed per i turisti e alcune piccole abitazioni in muratura – che erano precedentemente usate dai lavoratori della fattoria - per i San. Per tutto questo loro pagavano alla fattoria una percentuale e da questa acquistavano anche la carne e altri beni. La fattoria ospita anche turisti per battute di caccia e spesso i San vi partecipavano mostrando le loro tecniche di caccia. Vedremo successivamente come i due Living Museum sorti in modo diverso su terre diverse, abbiano anche avuto destini differenti.
4.3 I San, il turismo e l’autenticità Alcune di queste persone sanno qualcosa riguardo i San da libri e televisione. (Leandra Eiman, rappresentante di WIMSA al Forum Permanente dell’ONU del 2004) Viene spontaneo chiedersi come mai i San puntino a questi progetti di community-based tourism e perché il Governo namibiano li stia sostenendo anche, non solamente, nello Tsumkwe District. Abbiamo già accennato (capitolo 3) all’immagine della Namibia che lo stesso Governo propone e all’immagine che le compagnie turistiche cercano di veicolare riguardo la Namibia: «un Eden inesplorato»135 per riprendere le parole di Hitchcock. Sono ormai numerosi i tour operator che propongono, attraverso internet o brochure, incontri o itinerari turistici con i Boscimani. Molti infatti visitano la Namibia o il Botswana per vedere "popolazioni esotiche", in particolare i Boscimani del Kalahari e gli Himba del Kaokoland (Hitchcock, 1997; Suzman, 2001). 135 Hitchcock R. K., "Cultural, Economic and Environmental Impacts of Tourism among Kalahari Bushmen.", in Chambers E., "Tourism and Culture: an Applied Perspective", State University of New York Press, Albany, 1997, pag. 96. Una delle principali ragioni che porta il Governo a sostenere la diffusione del turismo in queste zone è la creazione di posti di lavoro e guadagni che esso dovrebbe portare (Ministry of Finance and Development Planning, 1991; Ministry of Wildlife, Conservation and Tourism, 1992; Ministry of Environment and Tourism of Namibia, "Draft Tourism Policy 2001-2010"). Autore Sara Rizzi 93
Il turismo tuttavia, come espresso già precedentemente attraverso le parole di Sem Shikongo (Capitolo 3), pone una serie di dilemmi e di scelte laddove va a svilupparsi. I San, così come altre etnie in Namibia, hanno l’opportunità di trarre vantaggio economico ed avere possibilità di lavoro dal turismo, dalla vendita di artigianato, dalle esibizioni di danza e di caccia, ma allo stesso tempo i turisti tendono spesso ad intralciare le attività quotidiane, a non rispettare la calma o le usanze dei luoghi visitati e ad avere preconcetti riguardo ciò che vedranno (Hitchcock, 1997).
I visitati dunque sono posti davanti ad una scelta e spesso – sostiene Aime – essi fanno entrambe le cose, cioè traggono vantaggio economico dalla presenza dei turisti - proponendo la loro risposta alla domanda turistica -, pur cercando di mantenere momenti intimi non condivisi né condivisibili con i visitatori (Aime, 2005; Barberani, 2006).
Parliamo del "retroscena" e della "ribalta" teorizzati da Goffman (1989) di cui abbiamo trattato nel sottocapitolo 2.2. Secondo Aime «il "retroscena" starebbe nel riappropriarsi dello stesso spazio condiviso fino a poco prima con i turisti, per viverlo da soli.»
136. 136 M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 131.
137 Nostra intervista a Sonja Ivanek-Kirchner del 5 Luglio 2010 presso la sede di LCFN a Windhoek.
138
Barberani S., "Antropologia e turismo. Scambi e complicità culturali nell’area mediterranea", Angelo Guerini e Associati, Milano, 2006, pag. 133. Gli stessi Nharo e Ju/’Hoansi San dei living museum praticano ancor oggi, di notte, alcune danze e cerimonie proposte durante il giorno ai turisti, ed i bambini, anche fuori dal Living Museum, giocano nello stesso modo proposto ai turisti. Nei casi di «inscenata autenticità» - termine proposto da Mac Cannell - la performance nasce comunque da una pratica preesistente, ciò che cambia è la motivazione che spinge la gente a parteciparvi (Aime, 2005; Barberani, 2006).
Sonja Ivanek-Kirchner di LCFN ci racconta: «noi diciamo, a chi ci dice che il Living Museum non è vero, non è autentico, che quella è la riproposta della tradizione e che non è possibile entrare in pieno e in modo irruento nelle vite della altre persone. La privacy è importante per ciascuno.»
ospitati, alla verità di un popolo legato, nell’immaginario turistico, a tradizioni immutate nel tempo.
Riteniamo il living museum un buon esempio applicativo della teoria elaborata da Goffman: chi vi lavora si dichiara "attore" e per tanto la sua vita è divisa tra un piano lavorativo di "ribalta" ed uno privato di "retroscena". Ciò che viene presentato a livello di "ribalta" e quindi a turisti e a visitatori namibiani, è un modo per rivitalizzare e riscoprire le tradizioni e passarle ai più giovani, attraverso lo sguardo e il tramite del turista
137. Uno dei dilemmi legati alla questione dell’autenticità – sostiene Silvia Barberani138 – è il desiderio dei turisti di oltrepassare la "ribalta" per liberarsi della rappresentazione di facciata ed arrivare nel "retroscena", nella parte intima della vita degli Autore Sara Rizzi 94 139. Gli Ju/’Hoansi San di Grashoek hanno portato le tradizioni da loro raccolte, ricordate o ancora utilizzate, anche ad altre etnie che per svariate vicende storiche e sociali le avevano perse. Tutto questo è stato fatto ai fini dell’apertura di altri living museum, ma ha anche portato ad un contatto culturale, allo scambio di tradizioni e molto probabilmente ad un loro mescolamento e rinnovamento. 139 Queste considerazioni ci sono state confermate da Cwi Nqani durante i nostri incontri al Living Museum of the Nharo San tra il 2 e il 5 Luglio 2010, dai membri di LCFN e da alcuni turisti namibiani, ma soprattutto da Ben Begbie-Clench, coordinatore regionale di WIMSA (Working Group of Indigenous Minorities in Southern Africa), durante il nostro incontro a Windhoek del 2 Luglio 2010. 140 Nostra intervista a Michela Zucca, antropologa specializzata in cultura popolare, in data 9 Novembre 2010.
141 M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 123.
«Il living museum è un’attività – sostiene Michela Zucca - che dal punto di vista ambientale risulta sostenibile, può portare ad indotti paralleli nelle danze, nel teatro, nella musica, nell’artigianato, ma può soprattutto favorire attraverso il recupero delle proprie radici culturali, uno sviluppo verso un’identità nuova che sia complessa e che porti eventualmente verso la modernità. Spesso inoltre quando le persone organizzano questi tipi attività si alza immediatamente il livello di coscienza culturale e di appartenenza del territorio.»140. Anche Marco Aime sostiene che «vedere i propri costumi diventare oggetto di un’attenzione sempre crescente da parte dei visitatori può contribuire a sviluppare la consapevolezza del valore della propria cultura»
Secondo Bruner (2005), la metafora teatrale della "ribalta" e del "retroscena" proposta da Goffman e applicata da Mac Cannell all’ambito turistico, darebbe per scontata una realtà vera ed autentica situata nel "retroscena". Secondo Bruner invece ciò che emerge Autore Sara Rizzi 95
dall’incontro
Nel corso della ricerca ci è capitato di sentir dire da operatori turistici vari e di aver conferma dai turisti stessi, che è difficile proporre qualcosa come i living museum, poiché le reazioni dei turisti sono differenti: taluni lo ritengono un falso, altri non comprendono in cosa consista e altri ancora ne rimangono affascinati
141. host-guest è una cultura nuova, costruita appositamente per i turisti e da loro condizionata, ma non per questo etichettabile come non autentica, poiché non esiste un originale di cui essa sarebbe la riproduzione. Ancora secondo Bruner la performance è costitutiva, deriverebbe cioè da una matrice culturale locale ma sarebbe comunque nuova dal momento che cambiano continuamente contesto, pubblico e tempi (Barberani, 2006). 142. È proprio ciò che ci ha portati ad intraprendere tale ricerca. 142 Informazioni riportate da diversi tour operator e turisti all’interno delle nostre interviste: 24 Giugno 2010 intervista a Roberto del tour operator Kalahari in Africa; 2 Luglio 2010 intervista a Windhoek a due coppie italiane in viaggio di nozze. Secondo Werner Pfeifer, ma anche Gianluca Massalini e le guide San incontrate nel living museum, esso non è un falso, non può esserlo semplicemente perché è dichiarata la sua natura di "museo". Inoltre già la presenza di un villaggio San stabile è una chiara ricostruzione e risposta alla domanda turistica ed educativa alla quale vuole dar risposta il living museum, poiché tutti i gruppi San, in origine, non erano stanziali. Le loro capanne, come si può vedere nei living museum, sono fatte di rami e paglia, tutti materiali naturali facilmente reperibili nel bush. Queste capanne venivano costruite e poi abbandonate una volta che la banda - così spesso vengono definiti i gruppi famigliari autonomi - doveva spostarsi in cerca di cibo, acqua o per incontrare altri nuclei famigliari (Malan, 1995). La presenza quindi di un "villaggio" stabile e fisso nei living museum è già indice di ricostruzione e di adattamento ai fini educativi, esplicativi ed economici di cui è frutto il museo stesso.
Nelle discussioni tra turisti e con i turisti, sembra ci sia un «grado zero dell’autenticità di una cultura», per dirla con la parole di Aime (2005), in seguito al quale, con le varie contaminazioni, essa perde la purezza e l’autenticità stessa. Questa idea va contro il postulato che abbiamo dato inizialmente per vero, cioè che una cultura non sia statica ma frutto di continui rimescolamenti ed incontri. Jean-Loup Amselle (1990) inoltre ritiene poco proficuo andare a ritroso per cercare lo stato "originale" di una cultura – così come Bruner Autore Sara Rizzi 96
(2005) ritiene non esista una matrice culturale originaria-, poiché essa nasce già da una dimensione meticcia ed è il frutto di un continuo mutamento.
Questo vale anche per le critiche che spesso vengono rivolte ai nativi per la presunta loro "commercializzazione di cultura". Ci è capitato di incontrare turisti
143 colpiti dal prezzo del living museum o dalla vendita di artigianato da parte dei locali che segue generalmente una visita, sia al living museum che ad esempio in alcuni villaggi himba che vengono visitati dai turisti. Questa è una risposta diretta alla domanda del turismo culturale che innesca inevitabilmente un mercato intorno alle tradizioni e alla cultura. Questo viene da molti letto come indizio di perdita di autenticità (Aime, 2005; Barberani, 2006). 143 Nostre interviste a turisti: 23 Luglio 2010 a Windhoek a due coppie in viaggio insieme self-drive; 25 Luglio 2010 a Windhoek ad una coppia appena tornata da un tour self-drive. Aime (2005) propone di distinguere allora tra rappresentazioni prodotte per autoconsumo e riprodotte per i turisti e rappresentazioni create appositamente per i turisti. Le danze proposte in varie parti del mondo da varie etnie – Aime porta l’esempio del popolo Dogon e noi aggiungiamo a questo l’esempio dei San – trasformate in
Ci chiediamo se questo modo di vedere la risposta proposta dagli
performance turistiche ma derivanti da elementi tradizionali spesso ancora utilizzati, rientrano nella prima categoria. Le performance invece create dai tour operator negli alberghi e resort appartengono alla seconda categoria. host alla domanda turistica come "commercializzazione di cultura", non derivi da una visione puramente occidentale dei nativi di particolari etnie come persone assolutamente lontane dal mercato economico globale (Garrone, 1993; Aime, 2005). Autore Sara Rizzi 97 4.4 Spunti di riflessione ulteriori sui living museum Il progetto dei Living Museum va verificato e considerato soprattutto in base a ciò che rappresenta per l’economia e la vita di chi vi lavora. Esso dovrebbe in primis portare risultati positivi agli attori, alle loro famiglie e alla comunità coinvolta senza danneggiare le altre comunità né l’ambiente in cui esso è inserito (Humphfrey e Wassenaar, 2009). Inoltre è essenziale – suggerisce Michela Zucca144 – che questo progetto non porti solamente alla sussistenza ma contribuisca ad un reale sviluppo, alla possibilità eventuale da parte dei San di prendere decisioni sulla loro attività e sul loro futuro. 144 intervista a Michela Zucca, antropologa specializzata in cultura popolare, in data 9 Novembre 2010.
145
Humphrey E., Wassenaar T., "Tourism Development Plan. Nyae Nyae and N#a-Jaqna Concervancies.", Nyae Nyae Development Foundation of Namibia and WIMSA, September 2009, pag. 39. Dai dati che abbiamo riportato nel sottocapitolo 4.2, si nota come l’attività del Living Museum di Grashoek sia molto ben avviata. Dallo studio di Humphfrey e Wassenaar (2009) si evince che la base su cui s’innesta il successo di Grashoek è la risposta ad una domanda di attività autentiche ed accessibili di turismo culturale. Secondo gli stessi autori infatti, i punti di forza di Grashoek sarebbero:
- attività di alta qualità ed autentiche condotte dalla comunità Ju/’Hoansi san;
- disponibilità di artigianato locale autentico e di alta qualità;
- una posizione favorevole, vicina alle principali rotte turistiche e nella vicinanze della strada principale B8;
- l’opportunità di sperimentare e vedere lo stile di vita odierno della comunità di Grashoek;
- un campeggio semplice e rustico che si adatta molto bene all’esperienza autentica di visita a Grashoek.
145 Un’attività che riscuote molto successo e che, come anticipato nel sottocapitolo 4.2 porta numerosi proventi, è la vendita dell’artigianato. Sostiene Symonds (2009): «a Grashoek l’attenzione è posta sull’artigianato san autentico e tradizionale che non viene adattato al gusto moderno del turista. Questo rende i prodotti artigianali più insoliti ed originali, dando l’idea Autore Sara Rizzi 98 al visitatore di un souvenir rappresentativo del villaggio che ha visitato. La vendita di questi prodotti ha molto successo grazie all’entusiasmo dei turisti che sanno così di supportare la comunità, il luogo e l’immagine della cultura san che loro hanno sperimentato e della quale hanno appreso informazioni durante il loro tour. Fuori da questo contesto però, i prodotti artigianali risultano più difficili da vendere, poiché manca l’esperienza diretta e vissuta di cui sono parte. Essi risultano de-contestualizzati.»146. 146 Trad. dall’ingl. ns., A. Symonds, "N#a-Jaqna Craft Assessment & Review.", Windhoek, Namibia, 2009, pag. 8. Cit. in Humphrey E., Wassenaar T., "Tourism Development Plan. Nyae Nyae and N#a-Jaqna Concervancies.", Nyae Nyae Development Foundation of Namibia and WIMSA, September 2009. Anche Hitchcock (1997) sostiene che lo sviluppo del turismo nel Kalahari abbia portato ad una nuova attenzione e ad una rinascita dell’artigianato. Questo avrebbe favorito inoltre la nascita di numerose opportunità lavorative. Allo stesso tempo però questa nuova attività ha inserito diverse persone in un mercato economico poco stabile, nel quale viene denunciato spesso dai produttori un basso pagamento da parte degli imprenditori.
La produzione e la vendita diretta di oggetti quali archi, frecce, collane, bracciali, borse di pelle, pipe, ecc., portata avanti nei living museum è anche un modo per coinvolgere un maggior numero di persone oltre agli attori del living museum. Su ogni prodotto creato viene applicata un’etichetta con il prezzo ed il nome di chi l’ha fatto. Questo serve al
Come si può notare nella figura 11 (pag. 84), i prodotti vengono esposti e venduti in un luogo distanziato dal living museum, solitamente recintato, un
Quality Control Group del living museum, per comprendere quali sono i prodotti maggiormente venduti e chi crea quelli più graditi. craft shop, una sorta di vero e proprio negozio d’artigianato. Autore Sara Rizzi 99 Figura 16: Fotografie nostre. Sopra, turisti all'interno del craft shop del Ju/'Hoansi San Living Museum; in alto a sinistra, materiali per la creazione di collane e bracciali (semi, bacche, pezzetti di uova di struzzo modellati e punteruoli; a lato, donne realizzano prodotti artigianali femminili all’interno del Living Museum. Tutto questo ha portato ad incassi piuttosto buoni, ma a questo punto, come ci raccontano Werner Pfeifer e Cwi Nqani, si pone il problema della gestione del denaro. Infatti uno dei maggiori problemi della zone rurali della Namibia e in particolare dell’ex Bushmanland, è l’alcolismo (Biesele, 1976; Hitchcock, 1997). Hitchcok (1997) elenca questo tra i problemi e le conseguenze del turismo tra i San. Questi progetti di sviluppo infatti sono spesso molto buoni e costruttivi ma hanno sempre e comunque conseguenze sociali, sia in negativo che in positivo. Anche nello studio di Humphfrey e Wassenaar (2009), vengono proposti, riguardo il Living Museum di Grashoek, alcuni spunti di riflessione ed alcuni elementi da tenere sottocontrollo: Autore Sara Rizzi 100
«un
turismo culturale di successo può aumentare i flussi in entrata nella comunità, i quali possono avere impatti positivi e negativi. Tra gli impatti negativi troviamo una maggiore incidenza di abuso di alcol, di sentimenti di gelosia se i soggetti implicati nel progetto non ne beneficiano allo stesso modo, e la rottura delle pratiche culturali tradizionali. Gli impatti positivi includono una maggiore capacità di acquisto di beni alimentari e beni materiali, e la possibilità di risparmiare denaro per un uso futuro. Inoltre, l'intrusione nella vita quotidiana delle persone san e nelle loro case da parte dei visitatori può ulteriormente compromettere le loro relazioni sociali ed interferire con la loro capacità di procurarsi il cibo nel bush147 147 Humphrey E., Wassenaar T., "Tourism Development Plan. Nyae Nyae and N#a-Jaqna Concervancies.", Nyae Nyae Development Foundation of Namibia and WIMSA, September 2009, pp. 40-41. 148 Idem, pag. 42.
149
Nostra intervista presso il Living Museum of the Ju/’Hoansi San svolta tra il 6 e il 9 Luglio 2010. LCFN ha proposto alla comunità del Living Museum di Grashoek di dividere in modo equo i guadagni, di prendere nota di tutte le entrate ed uscite in modo da avere dati sull’andamento del progetto, ma anche di aprire un conto corrente in città intestato al living museum. Sostiene infatti Werner Pfeifer che la capacità di gestire il proprio denaro in modo costruttivo ed intelligente, di utilizzare il denaro per comprare prodotti utili per la famiglia, sia caratteristica essenziale per inserirsi nel moderno mercato economico namibiano.
Altra caratteristica dei living museum è che essi si inseriscono all’interno dell’ambiente naturale con un minimo impatto. Tra gli obiettivi della N#a-Jaqna
Secondo appunto lo studio promosso da WIMSA e da Nyae Nyae Development Foundation il Living Museum di Grashoek, sarebbe un progetto promettente, con possibilità di sviluppo ulteriore e che porta buoni proventi ai suoi attori, slegandoli inoltre dalla dipendenza dalla concervancy e dagli aiuti governativi
Non tutti i progetti di living museum però sono stabili e ben avviati come quello di Grashoek. Autore Sara Rizzi 101
Abbiamo anticipato che il Living Museum of the Nharo San ha chiuso nel mese di ottobre del 2010. Ai tempi della nostra ricerca era stato da poco aperto presso la fattoria Trümper. Questo Living Museum avrebbe dovuto rappresentare una possibilità per le scuole di Windhoek, per l’università e ovviamente per i turisti che obbligatoriamente passano dalla capitale durante i tour. Erano già stati avviati progetti di collaborazione con la
I problemi logistici e non erano però già chiari. Esso era costituito da una comunità "creatasi appositamente". Come anticipato nel sottocapitolo 4.2, i San di questo Living Museum erano in parte Nharo ed in parte Ju/’Hoansi, riunitisi per intraprendere un progetto economico comune, ma oltretutto lontano dalle rispettive terre d’origine.
L’unico "esperto" di living museum presente era Cwi Nqani, arrivato da Grashoek insieme alla sua famiglia e alla famiglia della moglie. Egli ci racconta di aver deciso di spostarsi da Grashoek e di esser contento di avere la possibilità di iniziare con la propria famiglia una nuova attività. Sonja Ivanek-Kirchner di LCFN ci racconta poi che le famiglie Nharo avevano invece deciso di aderire al progetto di questo nuovo living museum per problemi soprattutto di alcol nelle proprie comunità d’origine. Spostarsi e iniziare qualcosa di nuovo sembrava una buona idea.
Vi erano però alcuni problemi base: e materie prime naturali che vengono generalmente utilizzate, ad esempio i bastoncini per accendere il fuoco ricavati da un particolare albero presente solo nel nord-est, scarseggiavano o non erano presenti intorno a Windhoek e quindi venivano acquistate da Grashoek; la fattoria Trümper è distante dalla strada principale ed in ogni caso gli attori non avevano modo di recarsi in altre zone per acquisti o contatti sociali; non era possibile mandare i bambini a scuola poiché troppo lontana. Il fatto poi che la terra fosse privata, rendeva il tutto piuttosto vacillante. I San non intraprendevano un’attività su una terra loro e non erano quindi
In conclusione le famiglie Ju/’Hoansi San presenti hanno deciso a settembre di tornare nella propria comunità a Grashoek e i Nharo hanno concluso che non era un’attività che volevano portare avanti. LCFN nel proprio sito, dice: Autore Sara Rizzi 102
concervancy vi è infatti lo sviluppo del turismo ma con impatto ambientale minimo. Il living museum utilizza solamente materiali naturali, eccetto per le latrine del campeggio. 148. Alcune donne incontrate al living museum ci hanno spiegato che quel lavoro per loro è importante, poiché genera guadagni per la famiglia e permette loro di stare comunque vicine alla casa e alla famiglia, dal momento che spesso vengono coinvolti nelle attività anche i figli piccoli che non vanno a scuola149. University of Namibia e con TUCSIN (The University Centre of Study in Namibia). in toto liberi di gestire la cosa. Inoltre, sebbene fosse stato stipulato un contratto tra fattoria e San, alcuni stessi membri di Living Culture Foundation, vedevano la situazione rischiosa. «Abbiamo infine compreso che il concetto del Living Museum si basa sulla comunità. Esso può funzionare solamente a partire da un gruppo molto legato che studia insieme il progetto. Questo rende molto difficile lavorare per un Living Museum su di una terra privata dove, come in questo caso, le persone sono prive del sostegno e dell’aiuto della famiglia allargata tradizionale ed è dipendente dal proprietario della fattoria. Il numero di persone occupate su di un terreno privato deve esser infatti limitato e questo va contro il nostro concetto di living museum come progetto condiviso da un’intera comunità.»150. 150 Da www.lcfn.info. 151 Hitchcock R. K., "Cultural, Economic and Environmental Impacts of Tourism among Kalahari Bushmen.", in Chambers E., "Tourism and Culture: an Applied Perspective", State University of New York Press, Albany, 1997, pag. 93. Per questo – sostengono i membri di LCFN – il Living Museum of the Nharo San non ha mai avuto la spinta, lo slancio e l’entusiasmo che ci sono stati invece per tutti gli altri Living Museum creati.
Hitchcock (1997) sostiene che i risultati maggiori dai progetti di sviluppo turistico che abbiano come protagonisti i San, si vedono laddove essi hanno parte attiva nel processo decisionale e si viene quindi a creare una connessione tra obiettivi di sviluppo e sostenibilità e diritti umani151.
La partecipazione attiva nella gestione della propria terra e delle proprie risorse, nonché la rappresentanza attiva a livello politico sono alcuni dei punti sui quali lavora WIMSA da anni sulle terre San. Lo stesso Governo namibiano, attraverso la creazione delle
Il raggiungimento dell’autonomia economica e decisionale risulta quindi obiettivo primario per uno sviluppo valido. Il Living Museum di Grashoek potrebbe esserne un buon esempio. Autore Sara Rizzi 103
concervancy e il riconoscimento delle autorità locali, punta a far sì che la protezione e la salvaguardia della propria terra diventi priorità delle diverse etnie namibiane. Per quanto riguarda il Living Museum of the Nharo San, un grosso limite del progetto ed un elemento problematico è risultato proprio l’appartenenza della terra ad una fattoria e quindi la possibilità di gestirla in modo limitato e con un basso grado di libertà ed autonomia da parte dei San presenti. CONCLUSIONI «Avrei voluto vivere ai tempi dei veri viaggi, quando ai nostri occhi si offriva in tutto il suo splendore uno spettacolo ancora non guastato, contaminato o funesto»152. Questo afferma Lévi-Strauss nel 1955. 152 C. Lévi- Strauss, "Tristi Tropici", Il Saggiatore, 2008. 153 Si veda nota 34.
154 Cit. in Michel, "Altrove, il settimo senso. Antropologia del viaggio.", MC Editrice, Milano, 2000, pag. 203.
Il turismo ed i viaggi in generale sono stati visti per molto tempo sia come un rimedio universale che come un male necessario. Questa interpretazione, tanto opposta da non risultare costruttiva, indica una forte necessità di ripensare, sviluppare ed articolare i discorsi sul turismo e sulle sue conseguenze (Michel, 2000). Così come sostenuto da Hitchcock (1997), anche Michel (2000) ritiene che per fare in modo che un male necessario diventi un bene eventuale per tutti, è necessario che la vigilanza ed il controllo degli eventi siano gestiti direttamente dalla popolazione locale. Solo in questo modo il turismo può diventare una risorsa utile e condivisa.
La Carta del Turismo Sostenibile
È la stessa preoccupazione che si riscontrava nelle parole di Sem Shikongo - Direttore della Sezione Turismo del MET - riguardo la Namibia e che si rintracciano anche nello studio di Hitchcock (1997) che analizza le conseguenze del turismo tra i San. Egli conclude che il turismo è visto in modi differenti all’interno delle varie comunità san in base alla percezione che essi hanno dei costi e dei benefici prodotti da esso. Inoltre riporta che «contrariamente all’idea che la rapida modernizzazione provochi una sorta di acculturazione che distrugge le Autore Sara Rizzi 104
tradizioni locali, un buon numero di San del Kalahari sono diventati attivamente impegnati nel portare avanti le attività tradizionali e consuete»155.
153, firmata a Lanzarote nel 1995, afferma che «il turismo per il suo carattere ambivalente deve essere esaminato in una prospettiva globale, perché può contribuire in maniera positiva allo sviluppo socioeconomico e culturale, ma anche al deterioramento dell’ambiente e alla perdita dell’identità locale»154. 155 Trad. dall’ingl. ns.: Hitchcock R. K., "Cultural, Economic and Environmental Impacts of Tourism among Kalahari Bushmen.", in Chambers E., "Tourism and Culture: an Applied Perspective", State University of New York Press, Albany, 1997, pag. 104. 156 M. Aime, "L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini", Bollati Boringhieri, 2005, pag. 130. Il problema spesso è del turista che, diversamente dal proprio immaginario pregresso, rimane stupido dal non vedere i San nelle zone remote tra Namibia e Botswana solamente come cacciatori e raccoglitori. Essi infatti si inseriscono all’interno di varie e molteplici attività economiche, dalla coltivazione al lavoro salariato come operai (Biesele, 1990; Gordon, 1992; Lee, 1993; Hitchcock, 1997).
Allo stesso modo i turisti da noi incontrati rimanevano stupiti dagli elementi legati alla modernità che essi vedevano soprattutto tra gli Himba che, insieme ai San, essi immaginavano come popoli ancora in minima parte "contaminati" dalla modernizzazione, dal mercato economico e dalla tecnologia. La visione di vestiti occidentali, telefoni cellulari e parabole satellitari li sconvolgeva. I turisti venivano infatti, attraverso quegli oggetti appartenenti, nel loro immaginario, alla sfera moderna ed occidentale, riportati ad una realtà che scardinava il loro immaginario. Ci domandiamo se questo atteggiamento non sia in parte il frutto del nostro etnocentrismo europeo o - come propone Aime (2005) – di un evoluzionismo strisciante che ci porta a misurare le culture umane in base al loro presunto grado di distanza dalla natura.
Aime (2005) a questo riguardo, pone il suo lettore ad un bivio:
«I casi sono due: o accettiamo una realtà fatta di capanne con i tetti in lamiera, di secchi in plastica colorati, di abiti occidentali di scarsa qualità e spesso stracciati, di monaci che guardano una finale di Champions League, oppure la aggiriamo per cercare un’autenticità che coinciderebbe con la fedeltà dei nativi all’immagine che ci siamo fatti di loro.»156. Questa riflessione di Aime si riscontra anche nelle parole di alcune guide italiane incontrate in Namibia. Una in particolare - in Namibia da moltissimi anni - ci raccontava che il turista, pregno del proprio immaginario pregresso, tende a vedere l’altro attraverso una vetrina, ha Autore Sara Rizzi 105
difficoltà ad aprirsi ad un’altra cultura. La capacità della guida sta anche in questo, nel mediare l’incontro, nello spingere il turista ad andare oltre il vetro immaginario che lo protegge e lo separa dall’altro per poter sperimentare davvero il Paese dove si trova
157. Nel film documentario "Cannibal Tours", del quale abbiamo precedentemente trattato, viene intervistato un turista italiano riguardo la sua impressione sullo stile di vita dei nativi del villaggio che stanno visitando: «loro vivono in modo primitivo, ma forse vivono meglio di noi. Sono inseriti completamente nella natura e vegetano con l’ambiente, sembra che non abbiano alcuna preoccupazione del domani, come se fossero soddisfatti di ciò che la natura offre loro.»158. 157 Nostra intervista del 24 Luglio 2010 con Emanuele Augello di Granelli di Sabbia Web Tour Operator. 158 Intervista ad un turista italiano all’interno del film-documentario "Cannibal tours" di Dennis O’Rourke (Australia, 1988). 159 A. Appadurai, "Modernità in polvere", Meltemi, Roma, 2002. Tutte queste impressioni, tutte le idee preconcette che il turista ha del nativo, vanno ad incontrarsi e scontrarsi inevitabilmente con la realtà del nativo stesso. L’incontro risulta comunque uno scambio di conoscenze e di informazioni, un contatto che genera nuovi elementi identitari.
Per concludere il turismo potrebbe essere un’enorme risorsa culturale, sociale ed economica, ma per questo e per la sua natura di fenomeno globale, ampio, complesso e spiegabile in modo multidisciplinare, necessita di uno studio approfondito. Nel sottocapitolo 4.3 abbiamo proposto numerosi esempi di progetti di
ricostruzioni culturali come i living museum, dei prodotti artigianali, dei costumi e delle danze si sprecano, ma riteniamo sia necessario uno sguardo che vada dal macro al micro, da un pensiero globale ad un progetto locale poiché, come sostiene Michel (2000) non si può pensare il turismo come elemento con una dicotomia intrinseca. Esso non è né buono né cattivo, ma si sviluppa in modo diverso in contesti diversi. Questa è infatti caratteristica di diversi fenomeni globali che si sviluppano tra complementarietà locale e globale. È il «glocale» proposto da Bauman, cioè un adeguamento della realtà globale a quella locale per comprenderne meglio le relazioni con l’ambiente internazionale
community conservation differenti per luogo, per tipologia, per soggetti coinvolti e di conseguenza differenti nei risultati ottenuti. Allo stesso modo Hitchcock (1997) nel suo studio sottolinea come il fenomeno turistico venga vissuto in modo diverso dai numerosi gruppi e villaggi san che vivono tra Namibia e Botswana. Questo dipende dal loro grado di coinvolgimento nell’attività stessa e dal ricavo economico e non che essi ne traggono. Anche il caso dei due living museum namibiani analizzati, ci mostra come le dinamiche dei singoli progetti siano strettamente legate al caso specifico. Il turismo è un fenomeno globale che sposta «flussi globali»159, ma per comprenderne realmente le dinamiche bisogna spesso analizzare i singoli casi, i singoli progetti all’interno di un contesto ben definito. Le critiche ed i dibattiti sull’autenticità delle Autore Sara Rizzi 106 160. 160 Z. Bauman, "Globalizzazione e glocalizzazione", Armando Editore, 2005. La visione secondo la quale il turismo condiziona completamente gli
Questo a nostro giudizio è l’elemento positivo dei living museum namibiani: l’autonomia all’interno del progetto turistico e la coscienza di essere attori che, come lavoro, ripropongono le proprie attività tradizionali quasi completamente superate a visitatori interessati a vederle e conoscerle. A questo punto lo scambio può essere equo, quando cioè entrambi i soggetti,
host ha sicuramente degli aspetti palesi e veritieri, ma riteniamo che l’analisi non possa non tener conto dell’azione e della presenza dei locali che in ogni caso propongono una loro reazione alla presenza turistica. La soluzione forse risiederebbe nel fare in modo che, come auspicato da Michel (2000) ed Hitchcock (1997), le popolazioni locali – ed in particolare quelle del Terzo Mondo che potrebbero trarre dal turismo giovamento economico – prendano coscienza della propria identità e dell’importanza della propria tradizione e a questa facciano seguire un coinvolgimento diretto in progetti turistici. host e guest sono consci del proprio ruolo e sono disposti a dare qualcosa di sé e della propria cultura. L’affermazione che ci è rimasta impressa, poiché molto spesso utilizzata da diversi protagonisti della nostra ricerca, è stata: "l’importante è che siano consci del proprio ruolo". Riteniamo in definitiva che questa si adatti molto bene sia agli host che ai guest, entrambi poli e protagonisti di un rapporto di scambio ed entrambi con un forte potere di condizionamento dell’incontro. Autore Sara Rizzi 107 BIBLIOGRAFIA Aime M., "Diario Dogon", Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
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"The great dance: a hunter’s story", di Craig e Damon Foster (Germania, 2000) Autore Sara Rizzi 114
INTERVISTE TIPO ED ELENCO DEGLI INTERVISTATI INTERVISTA TIPO PER TURISTI IN VIAGGIO IN NAMIBIA Da quale città italiana provenite?
Coma mai un viaggio in Namibia? Vi è stato consigliato? Racconti di amici?
Vi siete informati sul Paese a livello culturale e naturalistico prima di partire? Avete letto qualcosa a riguardo?
Che tipo di viaggio state facendo? Itinerario? Interessi particolari?
Cosa cercate o vi aspettate da questo Paese?
Avete in programma visite in zone tipicamente legate ad un’etnia? Ad esempio Owamboland o Bushmanland? Ne conoscete le caratteristiche, sapete qualcosa riguardo la loro storia?
Sapete cos’è un Living Museum o come sono organizzati i Living Museum? Cosa ne pensate? Ritenete possa essere utile per conoscere meglio le tradizioni di un’etnia?
Visiterete/avete visitato qualche Living Museum San? quale?
Cosa ne pensate? Che sensazioni avete avuto? Che ruolo pensate di aver avuto? Vi è stato utile per conoscere meglio le tradizioni San?
Cosa pensate dell’organizzazione dei Living Museum? Che impressione vi hanno fatto le attività proposte e chi le proponeva?
Come vi sembra questa idea dei Living Museum? Vi vengono in mente musei simile visitati in altri Paesi o in Italia?
Vi è sembrato eccessivo il prezzo pagato? Se sì perché? Se no perchè?
INTERVISTA TIPO PER TOUR OPERATOR ITALIANI IN NAMIBIA Da quanto tempo operate in Namibia?
Cosa vi ha portato a lavorare proprio su questo Paese?
Quanti sono all’incirca all’anno i turisti italiani con i quali lavorate? Che ruolo ha il turismo italiano in Namibia? E che ruolo ha l’Italia in Namibia?
Che tipo di viaggi o servizi proponete ai vostri clienti? Sono pacchetti fissi o si adattano di volta in volta alle esigenze del cliente?
Autore Sara Rizzi 115
Che tipo di turisti sono generalmente i vostri clienti (viaggiatori esperti? Si sono già informati sul paese, sulle etnie, conformazione geografica, caratteristiche sociali, ecc.?)
Che immagine mentale pensate possa avere un turista italiano della Namibia prima di partire?
Che immagine della Namibia tentate di veicolare voi attraverso sito internet, foto, brochure, ecc?
Quali sono le aspettative e qual è l’immaginario del turista in un viaggio in Namibia? Cosa cerca?
Trova generalmente risposta alle proprie aspettative?
Vi capita spesso di proporre ai turisti l’incontro con alcune delle principali etnie namibiane? È magari il turista stesso a chiedervelo?
Come lo proponete e che valore date alla proposta? Le vostre guide solitamente spiegano la realtà locale e anche quella dei gruppi che incontrano o che "visitano" nei Living Museum?
Collaborate con i Living Museum di "The Living Culture Foundation"? Con quali?
Che riscontro ne avete dai turisti? Cosa ne pensano?
Cosa ne pensate voi che conoscete la realtà namibiana e la popolazione San con i relativi problemi?
INTERVISTA TIPO PER I SAN DEI LIVING MUSEUM What’s your name?
Where do you come from?
Have you always lived in this region/village?
How long have you been working in the Living Museum? Does your family also work in the L.M.?
Do you like it? Why? Are there other jobs you could do?
Do you remember when the Living Museum was founded? How it happened?
Who founded the L.M.? What kind of role played the community of…
How was here the situation before the Living Museum?
What do you think about the L.M. for your community, for the young generations of your community?
What about the relation between your economic situation and the Museum?
What do you think about the tourists who come to visit the Living Museum? How do you feel with them?
What is the tourism for you and your community?
Autore Sara Rizzi 116
How do you feel when you teach them to do things they don’t know or they have never done?
What do you think about your traditions that you show to tourists? Do you think they are interesting? Do you think they can understand your ancient/traditional way of life?
Do you explain or show to tourists also changes in your today way of live? Do you think the tourist understands what you show him is a kind of representation of your tradition?
How is the museum managed? Who rules?
What is the role of Living Culture Foundation? And the role in particular of Werner and Luca?
Do you have contacts with WIMSA?
Nharo Living Museum:
Where did you live?
How is the composition of the families in the Nharo Living Museum? Where other families come from?
Why did you decide to move here? How were the conditions before?
Are you satisfied of the conditions that Living Museum offers you and your family?
Are there some problems here and with Living Museum? Why? And between the families?

INTERVISTE SVOLTE SUL CAMPO TRA GIUGNO E AGOSTO 2010 TOUR OPERATOR
DATA INTERLOCUTORE TOUR OPERATOR
21.06.2010 Gianluca Massalini e Werner Pfeifer Bush Culture Experience
22.06.2010 Rosanna Blecks Eagles Rock
22.06.2010 Responsabile Tour Operator Wild Dog & Crazy Kudu
23.06.2010 Agostinella Ribero Namibian Travel Connection
24.06.2010 Roberto Kalahari in Africa
25-27.06.2010 Gianluca Massalini Bush Culture Experience
25-27.06.2010 Sonja Ivanek-Kirchner Arifu tours
02.07.2010 Emiliano Benolich HB Viaggi Tour & Safari
23.07.2010 Alessandro Micheletti African Footprints Tour